Il ricorso tributario

Se il contribuente ritiene illegittimo o infondato un atto emesso nei suoi confronti (per
esempio, un avviso di liquidazione o di accertamento, una cartella di pagamento), può
rivolgersi alla Commissione tributaria provinciale per chiederne l’annullamento totale o
parziale.
Nel valutare l’opportunità di instaurare un contenzioso tributario, occorre comunque ponderare
sia tempi che costi. Infatti, la proposizione di un ricorso comporta, nella maggior parte dei
casi, costi aggiuntivi rappresentati dall’obbligo (per le controversie di valore superiore a 3.000
euro) di farsi assistere da un difensore e dal rischio, per chi perde, di essere condannato al
pagamento delle spese.
Il decreto legislativo n. 156/2015 ha introdotto alcune importanti novità alla normativa sul
contenzioso tributario.
Anzitutto, dal 1° gennaio 2016 per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro il
ricorso produce anche gli effetti del reclamo e può contenere anche una dettagliata proposta di
mediazione, cioè di rideterminazione degli importi dovuti.
Tra le altre principali novità contenute nel decreto:
• l’estensione dell’istituto del reclamo e della mediazione a tutte le controversie di valore
non superiore a 20.000 euro; l’istituto, quindi, non riguarderà più soltanto le liti derivanti
da atti emessi dall’Agenzia delle Entrate
• l’introduzione della conciliazione giudiziale anche dopo il primo grado
• la possibilità di conciliare anche le controversie per le quali è obbligatoria la procedura del
reclamo e della mediazione
• le modifiche al regime delle spese di lite (è espressamente previsto il risarcimento del
danno per lite temeraria nei confronti della parte soccombente)
• l’aumento a 3.000 euro del valore della controversia che consente al contribuente di stare
in giudizio senza assistenza tecnica
• l’inserimento tra i difensori abilitati dei dipendenti dei Centri di assistenza fiscale, anche se
soltanto per le controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il Caf
ha prestato loro assistenza
• l’esecutività delle sentenze favorevoli al contribuente
• l’introduzione del cosiddetto ricorso “per saltum”, cioè la possibilità di impugnare una
sentenza emessa da una Commissione tributaria provinciale, previo accordo delle parti in
giudizio, proponendo ricorso direttamente in Cassazione.
Per tutte le liti tributarie esistono due gradi di giudizio di merito:
• in primo grado, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale territorialmente
competente, si può ricorrere contro gli atti emessi dalle Agenzie delle Entrate e delle
Dogane e dei monopoli da altri enti impositori (regioni, enti locali, camere di commercio,
ecc.), dai soggetti iscritti all’albo per l’accertamento e la riscossione delle entrate degli enti
locali e contro le cartelle di pagamento e i provvedimenti emessi dagli Agenti della
riscossione
• in appello, dinanzi alla Commissione tributaria regionale, si può proporre impugnazione
per le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie provinciali.

Contro le sentenze della Commissione tributaria regionale è possibile ricorrere alla Corte di
cassazione. Inoltre, se vi è accordo tra le parti, la sentenza della Commissione tributaria
provinciale può essere impugnata direttamente con ricorso per cassazione (cosiddetto ricorso
“per saltum” – art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile).
Rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie:
• tutte le controversie relative a tributi di ogni genere e specie, comunque denominati,
compresi quelli regionali, provinciali e comunali, le sovrimposte e le addizionali, le relative
sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio
• le controversie di natura catastale, come quelle concernenti, ad esempio, l’intestazione, la
delimitazione, l’estensione, il “classamento” dei terreni e l’attribuzione della rendita
catastale, nonché le controversie inerenti all’imposta o al canone comunale sulla pubblicità
e al diritto sulle pubbliche affissioni.
Restano escluse dalla giurisdizione tributaria solo le controversie riguardanti gli atti
dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, se
previsto, dell’avviso che precede l’espropriazione forzata.

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