Atto di risoluzione contrattuale, il registro è proporzionale
L’accordo, avvenuto con mutuo consenso, consente alle parti di risolvere una compravendita immobiliare, facendone cessare gli effetti, e consiste in un nuovo trasferimento di proprietà
Roma – L’atto mediante il quale viene risolta, per mutuo consenso, una compravendita immobiliare sconta l’imposta di registro in misura proporzionale. Questo principio lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 25013 del 15 settembre 2021.
Prima di esaminare la vicenda concreta è opportuno premettere che:
- l’articolo 1321 del codice civile definisce il contratto come “…l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”
- l’articolo 1372 del codice civile stabilisce che “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.”
Queste norme attestano che nel nostro ordinamento vige il principio dell’irrevocabilità del contratto, ma, nello stesso tempo, viene attribuita alle parti la facoltà di sciogliere il contratto per mutuo consenso.
In generale, si parla di mutuo consenso per indicare, appunto, l’accordo mediante il quale le parti decidono di risolvere un contratto, facendone cessare gli effetti.
Alla base della vicenda esaminata dalla Corte di cassazione c’è un contratto di compravendita immobiliare stipulato nel 2013 tra due società.
A distanza di un anno e mezzo, le stesse società, richiamando l’articolo 1372 del codice civile, hanno risolto per mutuo consenso la compravendita da loro conclusa nel 2013.
In sede di registrazione dell’atto di risoluzione per mutuo consenso della compravendita il notaio ha versato l’imposta di registro in misura fissa, ritenendo che l’atto risolutivo non determinasse un nuovo trasferimento dell’immobile.
In sede di controllo della tassazione, invece, l’ufficio territoriale presso il quale è stato registrato l’atto, ha inviato un avviso di liquidazione, ritenendo che l’imposta di registro fosse dovuta in misura proporzionale, considerato che, per effetto della risoluzione della compravendita, l’immobile tornava nel patrimonio della società che lo aveva venduto nel 2013.
Le Commissioni tributarie di primo e secondo grado (sentenza n. 8046/2016 della Ctp di Caserta e sentenza n. 1353/2018 della Ctr della Campania) hanno ritenuto legittimo il recupero dell’imposta proporzionale effettuato dall’ufficio.
Investita della questione, la Corte di cassazione ha richiamato, in motivazione, la distinzione civilistica tra contratti a effetti reali e contratti a effetti obbligatori ed ha precisato che “…il mutuo dissenso può, a rigore, rappresentare una causa di risoluzione dei soli contratti ad effetti obbligatori e non dei contratti ad effetti traslativi atteso che i contratti ad effetti traslativi esauriscono la loro funzione nel momento in cui viene prestato il consenso, sicché, con riferimento ad essi, può solo ipotizzarsi un contratto ad effetti opposti a quelli traslativi già prodotti e non il mutuo dissenso che, come causa risolutiva tipica del contratto, presuppone che il rapporto giuridico sussista e permanga in vigore”.
Si è, quindi affermato che se le parti, dopo aver concluso un contratto ad effetti reali, come il contratto di compravendita, intendono eliminarne gli effetti, devono procedere ad un nuovo trasferimento della proprietà. Ciò sarebbe confermato anche dal fatto che gli atti risolutivi di una compravendita immobiliare devono essere formati, a pena di nullità, per iscritto.
Esaminando nel dettaglio gli aspetti fiscali dell’atto risolutivo della compravendita, i giudici hanno richiamato:
- l’articolo 28 del testo unico sull’imposta di registro, Dpr n. 131 del 26 aprile 1986, evidenziando che questa disposizione, in relazione agli atti risolutivi di un contratto, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa solo in casi specifici e, principalmente, nel caso in cui la risoluzione derivi da una clausola o condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto. Al di fuori di queste ipotesi particolari, il secondo comma della stessa norma, prevede che l’imposta si applichi tenendo conto delle “…prestazioni derivanti dalla risoluzione”
- l’articolo 38 del medesimo testo unico. Questa norma, dopo aver stabilito che la nullità e l’annullabilità di un atto non esonerano dall’obbligo di pagare la relativa imposta, stabilisce l’imposta stessa deve essere restituita se l’atto è dichiarato nullo o annullato, per causa non imputabile alle parti, con sentenza passata in giudicato.
I giudici hanno evidenziato che la restituzione dell’imposta, di cui all’articolo 38 del Tur, riguarda solo i casi di nullità o annullabilità dell’atto e non può essere estesa agli accordi risolutivi per mutuo consenso.
Per effetto di queste considerazione, i giudici hanno ritenuto corretto l’operato dell’ufficio che aveva richiesto l’applicazione dell’imposta di registro proporzionale in relazione ad un atto risolutivo di una precedente compravendita immobiliare, precisando che l’atto risolutivo “…è tuttavia esso stesso produttivo di propri e specifici effetti reali, in quanto la retrocessione del bene, sotto il profilo fiscale, realizza nuovamente il presupposto dell’imposta di registro, ipotecaria, catastale, trattandosi di atto traslativo, sintomatico di una nuova manifestazione di ricchezza.”
La circostanza che l’atto risolutivo di una compravendita debba scontare le imposte ordinarie previste per i trasferimenti immobiliari era già stata sostenuta dall’Amministrazione finanziaria, con le risposte agli interpelli n. 41 del 12 febbraio 2019 e n. 439 del 28 ottobre 2019.