Limiti e confini dell’azione fiscale, focus sui principi giurisprudenziali
Roma -La Corte di cassazione svolge una fondamentale funzione di interpretazione delle norme tributarie. Tra le numerose pronunce, particolarmente interessanti sono quelle relative ad alcune norme che regolamentano i poteri dell’Amministrazione finanziaria.
Accesso presso la sede del contribuente
L’articolo 52, primo comma del Dpr n. 633/1972 (decreto Iva) regolamenta la possibilità di accedere presso i locali dove viene esercitata l’attività commerciale, agricola, artistica o professionale. Viene stabilito, in particolare, che “Gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali […] Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono”.
La norma, quindi, da una parte prevede uno specifico potere degli uffici, dall’altra ne limita il suo esercizio.
La giurisprudenza di legittimità ha spesso forniti principi applicativi della predetta norma; da ultima, è da considerare l’ordinanza n. 22116/2021.
La pronuncia ha confermato il principio in base al quale, ai sensi dell’articolo 35 della legge n. 4/1929 “la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici ed in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria”.
Ne deriva, sempre secondo la medesima pronuncia, che vi è “piena utilizzabilità degli atti acquisiti dalla Guardia di Finanza a seguito di un accesso non preceduto dall’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria posto in essere presso la sede legale della contribuente coincidente con l’abitazione dell’amministratore unico della stessa”.
È poi da tenere in considerazione anche quanto stabilito dalla sentenza n. 17525/2019. Tale pronuncia, sempre in applicazione di quanto previsto dall’articolo 35 della legge n. 4/1929, ha statuito che i militari della Guardia di finanza possono legittimamente effettuare un’ispezione nei confronti di un contribuente anche senza l’autorizzazione del comandante territoriale.
Valenza del processo verbale di constatazione
Secondo quanto previsto dall’articolo 52, sesto comma, del Dpr 633/1972 “Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia”.
I Pvc, sia quelli redatti dalla Guardia di finanza sia quelli redatti dall’Agenzia delle entrate, verranno poi “lavorati” da quest’ultimo ente. Essi costituiscono, quindi, una delle basi da cui vengono poi emessi gli avvisi di accertamento comunque denominati (quindi anche atti di contestazione e atti di recupero credito).
Vista la rilevanza dei Pvc, la giurisprudenza di Cassazione ha stabilito dei principi molto importanti sulla loro valenza.
È stato quindi stabilito, con un orientamento più che consolidato, che “in tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore” (sentenza n. 20954/2021. Si vedano anche, tra le pronunce più recenti, le ordinanze n. 16667/2021 e n. 20995/2021).
È significativo, in particolare, il fatto che il verbale faccia prova in relazione alle dichiarazioni rese al verbalizzante. Quanto detto è particolarmente rilevante, ad esempio, nel momento in cui per un accertamento di tipo analitico induttivo (ex articolo 39, comma 1, Dpr n. 600/1973) o induttivo puro (ex articolo 39, comma 2, Dpr n. 600/1973) vengono utilizzate le dichiarazioni di parte rese in sede di verifica. In quest’ipotesi tali dichiarazioni non potranno essere disconosciute a meno che non venga proposta querela di falso.
Previsione di inutilizzabilità dei documenti
L’articolo 32, quarto e quinto comma del Dpr n. 600/1973, stabilisce che “Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l’ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile” In materia di Iva, l’articolo 51, ultimo comma del Dpr n. 633/1972 rinvia alle predette norme.
È quindi stabilito che nel caso di richiesta di documenti da parte dell’ufficio e di mancata risposta da parte del contribuente, i documenti stessi non possono più essere presi in considerazione a suo favore; quanto detto sia in sede amministrativa che in sede contenziosa. È comunque prevista la possibilità di depositare la documentazione in sede contenziosa e dichiarare di non aver potuto adempiere per causa non imputabile.
Anche qui i giudici di legittimità si sono espressi più volte, fissando degli importanti principi applicativi. La norma, è stato affermato, opera una deroga rispetto ai normali principi di produzione dei documenti in giudizio, previsti dal Dlgs n. 546/1992. Inoltre, anche nell’ipotesi in cui i documenti vengano comunque prodotti nel giudizio di primo grado, l’inutilizzabilità si applica anche nel caso in cui non venga eccepita da parte dell’Amministrazione finanziaria (ordinanza n. 10146/2020).
È ininfluente, poi, l’elemento psicologico sottostante la mancata produzione dei documenti, che può derivare anche da semplice inerzia del contribuente (sentenza n. 2850/2019). In ogni caso, la non applicazione della causa di inutilizzabilità deve essere eccepita dal contribuente non oltre il giudizio di primo grado, con contestuale deposito della documentazione a suo tempo richiesta (oltre al chiarissimo dettato normativo si veda anche l’ordinanza n. 16757/2021)
La non applicazione della causa di inutilizzabilità deve essere chiaramente circostanziata dal contribuente, non essendo ammissibile, ad esempio, una eccezione relativa al fatto che la richiesta di documentazione fosse stata ricevuta durante il periodo estivo (ordinanza n. 16757/2021).
Termine dei 60 giorni per la notifica dell’accertamento
L’articolo 12, comma 7 della legge n. 212/2000 (“Statuto del contribuente”) stabilisce, nei primi due periodi che “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può’ essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
È quindi previsto che:
- nei 60 giorni successivi alla consegna/notifica del processo verbale di constatazione, il contribuente può presentare osservazioni al verbale medesimo
- gli avvisi di accertamento non possono essere emessi prima dei predetti 60 giorno “salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Anche per questa norma i giudici di Cassazione hanno dettato alcuni principi applicativi.
È stato quindi sancito che “le garanzie statutarie della citata L. n. 212 del 2000, articolo 12, comma 7, operano solo in fase di accesso, ispezione e verifica nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente concludendosi tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni ivi svolte, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali” (ordinanza n. 2415/2021. Si vedano anche le ordinanze n. 22750/2021, n. 18413/2021, n. 2579/2019, nonché la sentenza n. 33915/2019); il termine dei 60 giorni non si applica, quindi, nel caso di verifiche “a tavolino”
Inoltre, nel caso in cui l’avviso di accertamento sia emesso prima dei 60 giorni, la sua invalidazione non può derivare dalla mancata enunciazione dei requisiti di urgenza, ma dalla loro effettiva mancanza (ordinanza n. 22750/2021. Si veda anche l’ordinanza 30 giugno 2021 n. 18413/2021, nonché la sentenza 19 dicembre 2019 n. 33915). Tra le cause che giustificano l’emissione dell’avviso di accertamento prima dei 60 giorni, vi è l’ipotesi in cui le violazioni riscontrate hanno rilevanza penale.