Conferimento di immobili in società, deducibili solo le passività del bene
Roma – In un’operazione di conferimento in società di suoli suscettibili di edificazione e gravati da un mutuo ipotecario stipulato dai soggetti conferenti per passività non rientranti nell’attività sociale propria è legittima la liquidazione proporzionale dell’imposta di registro effettuata sul valore dichiarato del cespite conferito. Pertanto, è legittima la verifica sulla sussistenza o meno di un collegamento tra le passività e i beni conferiti allo scopo precipuo di evitare che l’accensione di mutui ipotecari ad hoc possano assurgere a meccanismi elusivi del carico tributario. Lo ha stabilito la sentenza della Cassazione n. 19894/2022.
L’ordinanza in commento giunge a conclusione di un iter processuale di merito nel quale l’Amministrazione finanziaria si vedeva accogliere, dalla Ctr dell’Emilia Romagna, un appello avverso la decisione dei giudici di primo grado con la quale era stata dichiarata l’infondatezza di una presunta ipotesi elusiva, ai sensi dell’articolo 20 del Dpr n. 131/1986, nell’ambito di un’operazione di conferimento in società di suoli suscettibili di edificazione e gravati da un mutuo ipotecario stipulato dai soggetti conferenti per passività non rientranti nell’attività sociale propria.
Di conseguenza, era stata ritenuta illegittima la liquidazione proporzionale dell’imposta di registro effettuata sul valore dichiarato del cespite conferito.
In particolare, il gravame erariale è stato accolto sul rilievo che l’articolo 37-bis, comma 4, del Dpr n. 600/1973 attiene i tributi armonizzati e che l’articolo 50 del Dpr n. 131/1986 non permette “una deduzione indiscriminata delle passività ed oneri gravanti sui beni conferiti ed impone una verifica circa la sussistenza del «collegamento» tra la passività e l’acquisizione del bene da parte del cedente e del cessionario”, mentre nel caso di specie si tratta di debiti contratti “per ragioni strettamente personali”.
I contribuenti hanno impugnato la decisione della Ctr attraverso due motivi di doglianza che, in sintesi, lamentano la violazione od errata applicazione delle norme appena richiamate da parte dei giudici di seconda istanza in relazione alla ritenuta sussistenza, nel caso in esame, di un disegno elusivo non confortato da elementi probatori certi.
La Cassazione, con l’ordinanza n.19894 emessa lo scorso 21 giugno, ha rigettato il ricorso e condannato i contribuenti al pagamento delle spese di giudizio partendo dall’assunto che la Corte ha già avuto modo di esaminare operazioni analoghe a quella sopra richiamata e di esprimersi sulla portata dell’articolo 50 del Dpr n. 131/1986, stabilendo che la norma, interpretata alla luce della disciplina comunitaria (Direttiva Cee n. 335/1969), prescrive che, qualora siano conferiti in società immobili, diritti reali immobiliari o aziende, sono deducibili, ai fini della determinazione della base imponibile, solo le passività ed oneri inerenti al bene o diritto trasferito, con esclusione di quelli che, anche se gravanti sul conferente il bene ed accollati alla società, non sono collegati all’oggetto del trasferimento.
Pertanto, correttamente ha fatto l’Ufficio nell’effettuare una verifica circa la sussistenza o meno di un collegamento tra le passività ed i beni conferiti allo scopo precipuo di evitare che l’accensione di mutui ipotecari ad hoc possano assurgere a meccanismi elusivi del carico tributario (cfr Cassazione n. 23234/2015, n. 29403/2020).
Nel caso di specie, i soggetti conferenti hanno acceso ipoteche sui cespiti oggetto di trasferimento al fine di ottenere l’erogazione di un mutuo; operazione avvenuta in epoca anteriore al conferimento stesso in società. Di conseguenza, la base imponibile sulla quale calcolare l’imposta di registro da applicare non può essere filtrata dalle passività connesse a dette ipoteche in quanto rientranti in un ambito applicativo del tutto scevro dalle finalità legate al raggiungimento dello scopo sociale (cfr Cassazione n. 475/2018, n. 9580/2013 e n. 3444/2014).
Nel caso in esame, secondo i giudici di legittimità correttamente ha la Ctr verificato che “il debito accollato alla società è stato contratto dai Sig. P. per ragioni strettamente personali, fatto non contraddetto dalla parte appellata, per cui lo stesso debito, alla luce delle argomentazioni che precedono, non può essere considerato passività inerente ai beni conferiti secondo la previsione del già menzionato articolo 50.”
In via del tutto residuale, la Corte, con la pronuncia in argomento, ha ritenuto non confacente il richiamo, da parte dei ricorrenti, ad una presunta violazione dell’articolo 37-bis, comma 4, del Dpr n.600/1973 per la semplice ragione che la Ctr ha, altresì, puntualmente evidenziato che la normativa in tema di imposta di registro non contiene alcun richiamo all’obbligo del contraddittorio anticipato e la Corte è granitica nel ritenere che l’obbligo in questione rileva unicamente per i tributi armonizzati, mentre per quelli non armonizzati occorre una specifica previsione legislativa (tra le tante, Cassazione sezioni unite n. 24823/2015, Cassazione n. 11283/2016 e n. 6758/2017).