Cassazione: inammissibili i ricorsi avverso gli estratti di ruolo

La normativa modificata nel 2021, stabilisce la Cassazione, è pienamente legittima e può essere applicata anche ai giudizi pendenti al momento della sua entrata in vigore

Roma – Le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022 si sono pronunciate in tema di ammissibilità dei ricorsi presentati avverso gli estratti di ruolo alla luce del comma 4-bis dell’articolo 12 del Dpr n. 602/1973 (come inserito dall’articolo 3-bis del Dl n. 146/2021).
La Corte suprema ha vagliato la legittimità di tale normativa che prevede la non impugnabilità diretta degli estratti di ruolo e delle cartelle di pagamento che si assumono invalidamente notificate (salvo i seguenti tre casi espressamente indicati nella norma: 1- pregiudizio per la partecipazione a procedure di appalto; 2-blocco dei pagamenti da parte della Pa; 3- perdita di un beneficio nei rapporti con la Pa) confermando l’inammissibilità dei ricorsi presentati avverso tali atti e la sua applicabilità anche ai giudizi pendenti.

La sezione tributaria della Cassazione aveva sollevato innanzi alle sezioni unite una serie di questioni riguardanti la legittimità (anche costituzionale) della prevista, dal citato comma 4-bis, non impugnabilità diretta dell’estratto di ruolo e anche dubbi sull’applicazione retroattiva di tale nuova norma ai giudizi già pendenti al momento della sua entrata in vigore (21 dicembre 2021).

La Corte suprema, a sezioni unite, è partita dall’analisi del suo precedente pronunciamento n. 19704/2015 ove si era affermato che il ruolo e/o la cartella sono immediatamente impugnabili, anche in mancanza di rituale notificazione, e che non vi era d’ostacolo l’articolo 19, comma 3, ultima parte, del Dlgs n. 546/1992 secondo il quale “la mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”, e ha affermato che una lettura costituzionalmente orientata di questa norma aveva comportato che l’impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisse l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notificazione di un atto del quale il contribuente fosse, comunque, legittimamente venuto a conoscenza. Nella decisione del 2015 non aveva escluso la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, mediante l’impugnazione dell’estratto di ruolo in quanto l’accesso alla tutela giurisdizionale non poteva essere compresso, ritardato, reso più difficile oppure più gravoso, quando ciò non fosse imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponesse un concreto problema di reciproca limitazione.

Il bisogno di tutela immediata scaturiva, dunque, nella prospettazione delle sezioni unite del 2015, dalla necessità di evitare che il danno derivante dall’esecuzione forzata divenisse irreversibile, se non in termini risarcitori.
La Corte in tale pronunciamento aveva ritenuto difatti sussistenti gravi limitazioni al diritto di difesa del contribuente, nel caso in cui fosse progredita l’azione esecutiva nonostante l’invalidità o anche l’omessa notificazione della cartella o dell’intimazione di pagamento prodromiche. In particolare:

  1. per un verso, si escludeva che si potesse adire il giudice tributario per l’impugnazione di un atto esecutivo come il pignoramento, in quanto tale estraneo ai confini della giurisdizione tributaria, come delineati dal Dlgs n. 546/1992 articolo 2, (Cassazione, sezione un., n. 21690/16)
  2. per altro verso, la possibilità di proporre opposizione ex articolo 615 cpc, inizialmente esclusa dall’articolo 54 del Dpr n. 602/1973, nel regime antecedente alla novella dovuta al Dlgs n. 46/1999 (Cassazione, sezioni unite n. 212/1999, sezioni unite n. 2090/2002 e n. 25855/2013), è stata poi limitata, nel regime successivo, in base all’articolo 57 del Dpr n. 602/1973, alla deduzione dell’impignorabilità dei beni; laddove non è consentita, quanto alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo, ossia, appunto, alla regolarità del ruolo e alla notificazione della cartella, l’opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 cpc.

La Cassazione, nel pronunciamento in commento ha rilevato, tuttavia, che tali limitazioni, non sono più attuali.
Infatti, dapprima le sezioni unite (Cassazione, sezioni unite, n. 13913/2017 e n.13916/2017; in termini, tra varie, sezioni unite, n. 7822/2020) hanno stabilito che il pignoramento che costituisca il primo atto col quale si esprime la volontà di procedere alla riscossione di un credito, in mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, suscita l’interesse ad agire e va impugnato davanti al giudice tributario, in base agli articoli 19 comma 2, e 2 comma 1 secondo periodo, del Dlgs n. 546/1992.
Poi, anche sulla scia di questa giurisprudenza, la Corte costituzionale (con sentenza n. 114/2018) ha escluso qualsivoglia vuoto di tutela nel caso di omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o dell’eventuale successivo avviso contenente l’intimazione ad adempiere: se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, o la regolarità formale e la notificazione di esso, la tutela c’è ed è garantita in maniera piena dal giudice tributario (Cassazione, sezioni unite, n. 28709/2020). Il giudice delle leggi ha inoltre posto rimedio alla carenza di tutela che si profilava dinanzi al giudice ordinario, affermando l’illegittimità costituzionale del suddetto articolo 57 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella o all’intimazione di pagamento, sono ammesse le opposizioni regolate dall’articolo 615 cpc. E, a fondamento della decisione, ha appunto evidenziato che la pur marcata peculiarità dei crediti tributari non è tale da giustificare che “…non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori”.

Il principio della tutela immediata affermato dalla richiamata sentenza delle sezioni unite del 2015 è stato ritenuto dalla decisione qui in esame ormai superato, come diretta conseguenza del descritto ampliamento delle tutele esperibili a fronte dell’ingiusta prosecuzione della sequenza procedimentale che quella giurisprudenza considerava; non si configura, quindi, affidamento tutelabile per chi vi abbia confidato (Cassazione, sezioni unite, n. 4135/2019).
Le sezioni unite, con la sentenza in commento hanno affermato che “In realtà, proprio perché nei casi in cui si contestino il ruolo e/o la cartella o l’intimazione di pagamento non notificate o invalidamente notificate, conosciute perché risultanti dall’estratto di ruolo, l’esercizio della pretesa tributaria non emerge da alcun atto giuridicamente efficace, l’azione è da qualificare di accertamento negativo (in termini, da ultimo, Cass. n. 3990/20, punto 2.6). E, in quanto tale, essa, in considerazione della struttura impugnatoria del giudizio tributario, è improponibile (Cass., sez. un., n. 24011/07; sez. un., n. 21890/09)”.

Il legislatore, infatti, con l’articolo 3-bis del Dlgs n. 146/2021, inserito in sede di conversione dalla legge n. 215/2021, novellando l’articolo 12 del Dpr n. 602/1973, ha inserito il comma 4-bis, stabilendo non soltanto che “L’estratto di ruolo non è impugnabile”, ma anche che “Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto per effetto di quanto previsto nell’articolo 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al Decreto Legislativo n.50 del 18 aprile 2016, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

La Corte suprema, nella sentenza del 6 settembre, a seguito dei dubbi sollevati dalla sezione tributaria, ha affermato che “La prima disposizione dell’articolo 12 comma 4-bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 è ricognitiva della natura dell’estratto di ruolo, mero elaborato informatico contenente gli elementi della cartella, ossia gli elementi del ruolo afferente a quella cartella, che non contiene pretesa impositiva alcuna, a differenza del ruolo, il quale è atto impositivo, in quanto tale annoverato dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992 articolo 19 tra quelli impugnabili: sulla distinzione si sono soffermate queste sezioni unite (con la già citata sentenza n. 19704/15) e non constano voci dissonanti (in linea, anche l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4/22). Quel che s’impugna è quindi l’atto impositivo o riscossivo menzionato nell’estratto di ruolo; di modo che inammissibile è l’impugnazione dell’estratto di ruolo che riporti il credito trasfuso in una cartella di pagamento che sia stata precedentemente notificata, e non impugnata (tra varie, Cass. n. 21289/20), o che sia rivolta a far valere l’invalidità di un’intimazione, regolarmente notificata e non contestata, per l’omessa notificazione delle cartelle di pagamento (sempre tra varie, v. Cass. n. 31240/19).
È la seconda disposizione della disciplina sopravvenuta che ha suscitato accesi fermenti, dei quali si fornisce ampio riscontro nell’ordinanza interlocutoria. Non si tratta, come pure si è sostenuto, di una norma d’interpretazione autentica, men che mai dell’art. 19 del Decreto Legislativo n. 546 del 1992. Non soltanto essa non si qualifica come tale, ma nemmeno assegna ad altra disposizione un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (v. tra varie, Corte Cost., nn. 257 e 271/11, n. 132/16 e n. 167/18, nonché’ Cass., sez. un., nn. 9560/14 e 12644/14). Ne’ la norma è retroattiva, perché non disconosce le conseguenze già realizzate del fatto compiuto, ne’ ne impedisce le conseguenze future per una ragione relativa a questo fatto soltanto: essa non incide sul novero degli atti impugnabili e, specificamente, non ne esclude il ruolo e la cartella di pagamento; ne’ introduce motivi d’impugnazione o foggia quelli che già potevano essere proposti.
….
Con la norma in questione, invece, il legislatore, nel regolare specifici casi di azione “diretta”, stabilisce quando l’invalida notificazione della cartella ingeneri di per se’ bisogno di tutela giurisdizionale e, quindi, tenendo conto dell’incisivo rafforzamento del sistema di garanzie, di cui si è detto, plasma l’interesse ad agire. Questa condizione dell’azione ha difatti natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti (tra varie, Cass. n. 9094/17; sez. un., n. 619/21), e può assumere una diversa configurazione, anche per volontà del legislatore, fino al momento della decisione. La disciplina sopravvenuta si applica, allora, ai processi pendenti perché’ incide sulla pronuncia della sentenza (o dell’ordinanza), che è ancora da compiere, e non già su uno degli effetti dell’impugnazione”.

La sentenza in esame, quindi, precisa che il ricorso avverso un estratto di ruolo è sempre inammissibile salvo che il contribuente dimostri nel corso del giudizio, anche già pendente (quindi anche per la prima volta in fase di legittimità), la sussistenza dell’interesse all’impugnazione dell’estratto di ruolo in quanto si verta in uno dei predetti tre casi così come conformato dal legislatore nella novella del 2021.

La Cassazione, infine, giunge alla conclusione che “La disciplina in questione non è difatti irragionevole, né arbitraria. Essa asseconda non soltanto l’esigenza di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche a distanza di tempo assai rilevante dall’emissione delle cartelle, e al cospetto dell’inattività dell’agente per la riscossione, ma anche quella di pervenire a una riduzione del contenzioso (per considerazioni almeno in parte analoghe, si veda Corte Cost. n. 155/14). In particolare le finalità deflattive rispondono alla consapevolezza, già sottolineata dalla Corte costituzionale (in particolare con la sentenza n. 77/18), che, “a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera”. Nel contempo, però, la norma nuova assicura comunque tutela anche al contribuente, e nonostante la struttura impugnatoria del processo tributario, nei casi in cui ne ravvisa il bisogno, ossia qualora vi sia lo specifico pregiudizio ivi contemplato. Questa tutela, in base al tenore della norma, e alle ragioni che ne sono alla base (fronteggiare le impugnazioni “avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese…”), riguarda i soli atti invalidamente notificati (o non notificati) ivi contemplati e nelle sole ipotesi stabiliteI casi indicati sono quindi tassativi e non esemplificativi, per cui l’interprete non può crearne altri”.

Le sezioni unite hanno quindi affermato, ex articolo 363 cpc, il seguente principio di diritto “In tema di riscossione a mezzo ruolo, Decreto Legge n. 146 del 21 ottobre 2021, articolo 3-bis inserito in sede di conversione dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 articolo 12, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché’ specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’articolo 6 della CEDU e all’articolo 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione“.

La sentenza della Corte suprema, quindi, chiarisce i dubbi che erano sorti nella dottrina e nella giurisprudenza di merito in ordine alla portata e all’applicabilità ai giudizi pendenti della novella legislativa del 2021, chiarendo che la scelta operata dal legislatore, in ordine alla prevista inammissibilità dei ricorsi avverso gli estratti di ruolo, è condivisibile, oltre che costituzionalmente legittima, e che le nuove norme trovano applicazione anche ai giudizi già pendenti al momento della sua entrata in vigore.

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