Il sequestro preventivo dei beni non pregiudica la titolarità dei diritti
Il contribuente è tenuto comunque a versare le imposte, anche se relative a dichiarazioni presentate dall’amministratore giudiziario che, all’epoca, aveva in gestione il suo patrimonio
Roma – Il sequestro di prevenzione dei propri beni comporta l’obbligo del contribuente di versare le somme dovute a seguito delle dichiarazioni annuali presentate dall’amministratore giudiziario nel caso che la successiva confisca venga annullata nella competente sede giurisdizionale.
Lo ha affermato la sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n. 11487 del 3 maggio 2023.
Con il seguente principio di diritto la corte ha chiarito che “In tema di assoggettamento del patrimonio del contribuente a misura di prevenzione ai sensi della l. n. 575 del 1965 e successive modifiche, qualora il provvedimento di confisca “medio tempore” emesso dal Tribunale sia stato annullato dalla Corte d’appello, tenuto all’assolvimento delle obbligazioni scaturenti dall’omesso versamento di tributi risultanti dalle dichiarazioni annuali presentate dall’amministratore giudiziario, il quale non abbia potuto provvedere ai pagamenti, è il contribuente, atteso che, non avendo questi dismesso la titolarità del diritto, l’amministrazione del compendio, attivatasi sul fondamento dell’originario sequestro, che a sua volta seguita a spiegare efficacia sino alla definitività della decisione sulla revoca, è svolta “in incertam personam”, o per conto di chi spetta, e dunque anche nell’interesse del medesimo, una volta che, per effetto della revoca, sia restituito “in bonis”. “
Il caso e le fasi di merito
La controversia perveniva allo scrutinio della Suprema corte su iniziativa della parte contribuente, in relazione alla sentenza del Giudice tributario regionale che – in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate – riesaminava il precedente verdetto confermando, con esclusione delle sanzioni, la legittimità di tre cartelle di pagamento emesse, nei confronti del contribuente, a seguito di omesso versamento degli importi dovuti a titolo di Irpef, Irap e Iva per l’anno 2009, a loro volta risultanti dalle rispettive dichiarazioni annuali presentate dall’amministratore giudiziario che, all’epoca, aveva in gestione i beni mobili ed immobili, l’azienda ed i capitali del contribuente, poiché sottoposti a sequestro di prevenzione con decreto del tribunale di Palermo , cui era seguito decreto di confisca, poi revocato dalla Corte d’appello.
Il giudice di prime cure aveva accolto i ricorsi, successivamente riuniti, avverso le tre cartelle, sul presupposto che nel periodo d’imposta, ricompreso in tali atti, il provvedimento di confisca era ancora efficace, operando detta “revoca” ex nunc, con conseguente responsabilità per l’omesso versamento in capo all’amministratore giudiziario, in quanto agente nell’interesse dello Stato e non del contribuente.
La sentenza di appello osservava invece che le sezioni unite penali della Suprema corte di cassazione avevano affermato il principio secondo cui il provvedimento di confisca è “revocabile” ex tunc (sentenza n. 57/2006) e, proprio per tale ragione, secondo il giudicante, la responsabilità del pagamento delle imposte era da imputarsi direttamente al contribuente, fermo tuttavia che le sanzioni relative all’omesso versamento, in quanto aventi natura personale, dovevano essere annullate, attesa la riferibilità della condotta unicamente all’amministratore giudiziario.
Motivi della decisione della Corte
Il quadro normativo tributario, affrontato dai giudici di piazza Cavour, era attinente alle norme sulla soggettività passiva in materia di Iva, Irap e sostituzione a titolo di acconto e quindi riguardava il Dpr n. 633/1972 (articoli 1, 4 e 5), il Dlgs n. 446/1997 (articolo 3) e il Dpr n. 600/1973 (articoli 23, 24 e 25).
Doveva poi tenersi in debito conto che, in specie, l’intera vicenda riguardava la misura di prevenzione reale esplicata nel periodo compreso tra il 2002 (con sequestro nel 2002 e confisca nel 2008) e il 2010 (con revoca – “rectius“: annullamento – della confisca nel 2010); pertanto rilevava “ratione temporis” anche il panorama normativo anteriore all’entrata in vigore del Dlgs n. 159/2011 recante una disciplina organica anche della confisca di prevenzione. In definitiva, l’assetto normativo di riferimento doveva rinvenirsi alla legge n. 575/1975, articolo 2-bis e seguenti, nelle numerose versioni susseguitesi in progresso di tempo.
Il ricorrente evidenziava che le obbligazioni tributarie alle quali si riferivano le iscrizioni a ruolo erano sorte in presenza di fattispecie impositive poste in essere dall’amministratore giudiziario in ragione di un’attività di impresa svolta per conto e nell’interesse della pubblica amministrazione. Pertanto, ad avviso dell’istante, le conseguenze derivanti dall’inadempimento di dette obbligazioni non potevano riflettersi sulla posizione di chi era stato solo successivamente reintegrato nel possesso dell’azienda. Ciò doveva valere, non solo con riguardo agli effetti dell’esercizio del potere sanzionatorio, come confermato dallo stesso giudice d’appello, ma anche con riguardo agli effetti dell’esercizio del potere di riscossione, con riferimento al quale, invece, detto giudice aveva accolto l’appello della parte pubblica.
Tale censura veniva però ritenuta – dalla Cassazione – priva di fondamento, anche se la motivazione era diversa rispetto a quella adottata nella sentenza impugnata, dovendo quindi procedersi a un rigetto della domanda del contribuente attraverso un altro percorso motivazionale.
In tal senso, i giudici di legittimità – dopo aver preliminarmente criticato l’esegesi formulata (in diritto) nella sentenza di appello – osservavano che la revoca della Corte d’appello costituiva, in realtà, mera conseguenza dell’annullamento in grado d’appello, a seguito di impugnazione, pacificamente ordinaria, del provvedimento di confisca assunto ad esito del primo grado di giudizio (confisca non definitiva).
Sulla scorta di questa premessa, la stessa Corte rappresentava che l’intrinseca provvisorietà e instabilità della confisca non definitiva, ovvero la sua giuridica caducabilità, rendeva ragione della natura dell’amministrazione del compendio appreso dalla procedura sul fondamento dell’originario sequestro – in capo all’Agenzia Nazionale e per essa all’Amministratore giudiziale – alla stregua di un’amministrazione “in incertam personam” (o per conto di chi spetta), secondo uno schema analogo a quello predicato dal diritto civile classico in rapporto all’eredità giacente (articolo 529 cc).
Precisava ancora il giudice di legittimità che mentre nella prevenzione, se la confisca non definitiva si consolida in definitiva, poichè confermata dalla corte d’appello e dalla corte di cassazione, si realizza l’ablazione del diritto, con contestuale sua ricostituzione in capo all’erario, a cagione di ciò estinguendosi per confusione i debiti tributari erariali; se invece la confisca non si consolida in definitiva (poiché viene annullato, con decisione irrevocabile, il decreto che la dispone) si risolve “ora per allora” il vincolo già risalente – con meri effetti anticipatori – al sequestro, imponendo la restituzione del compendio (o dell’equivalente, in caso di autorizzate alienazioni) al proposto.
Quest’ultimo, per l’effetto, rientra (come si legge in motivazione) nella disponibilità di tutti i rapporti, attivi ma anche passivi, nella consistenza risultante dalla gestione per suo conto “medio tempore” effettuata, di cui non ha mai dismesso la titolarità, posto che la confisca, come visto, acquisiva prima, ed acquisisce ora, esecutività ablatoria solo con la definitività.
In base a tali premesse, la Corte formava poi il suo convincimento, segnato dai seguenti passaggi argomentativi:
“Proprio in funzione dell’incertezza relativamente alla definitiva spettanza del compendio incombe all’Amministratore giudiziario, tra sequestro e confisca non definitiva, e all’Agenzia Nazionale ovvero per essa, ancora, all’Amministrazione giudiziario, tra confisca non definitiva e provvedimento conclusivo del giudizio divenuto irrevocabile, sicuramente, e doverosamente, di adempiere alle incombenze dichiarative e di liquidare le imposte, ma altresì, nei limiti delle risorse e delle autorizzazioni, di assolvere ai debiti tributari insorti durante la gestione. Attualmente, ne offre conferma, per le imposte dirette, l’art. 51, comma 2, il quale infatti dispone che “se il sequestro si protrae oltre il periodo d’imposta in cui ha avuto inizio, il reddito derivante dai beni sequestrati relativo alla residua frazione di tale periodo e a ciascun successivo periodo intermedio è determinato ai fini fiscali in via provvisoria dall’amministratore giudiziario, che è tenuto, nei termini ordinari, al versamento delle relative imposte, nonchè agli adempimenti dichiarativi e, ove ricorrano, agli obblighi contabili e a quelli previsti a carico del sostituto d’imposta (…)”.
“In forza di quanto precede, in caso di restituzione del compendio al proposto, i pagamenti che, ancorchè traenti titolo nelle dichiarazioni regolarmente presentate, non abbiano potuto essere effettuati, ridondano in pregiudizio del medesimo, siccome compiuti per suo conto e (a differenza di quanto ritenuto in ricorso) nel suo “postumo” (ancorché eventuale) interesse”.