Mediazione immobiliare gratuita: possibile, ma occorrono le prove
Roma – La Corte di giustizia tributaria di II grado della Liguria, con la sentenza n. 540 del 25 luglio 2023, ha chiarito che il mediatore può rinunciare al suo diritto di percepire la provvigione da parte del proprietario dell’immobile che gli ha conferito l’incarico, ma a fronte dell’omessa fatturazione della prestazione, contestata dall’Agenzia delle entrate, il contribuente deve opporre prove adeguate, che possono essere rappresentate da un contratto che preveda la gratuità della prestazione.
La controversia , come riportato da Fiscooggi – originava da due avvisi di accertamento, relativi a due anni di imposta, con i quali venivano accertati, a carico di una sas, maggiori redditi di impresa nonché dai conseguenti avvisi di accertamento notificati ai due soci per trasparenza (ex articolo 5, Tuir).
Dopo un primo grado di giudizio, svoltosi avanti alla Ctp di Genova, adita senza successo dai contribuenti, la vertenza finiva avanti alla Corte di giustizia di secondo grado della Liguria.
Tra i vari motivi di doglianza, relativi al deliberato di primo grado, la parte appellante insisteva riguardo all’esclusione del diritto alla provvigione per il mediatore, nel caso concreto. Per contro, l’ufficio opponeva, che l’esclusione del diritto richiamato costituisse una deroga a quanto normativamente previsto dal codice civile, della quale avrebbe dovuto essere data prova certa.
Nel rigettare il ricorso, la Corte di giustizia di secondo grado della Liguria premette la correttezza dell’iter logico-argomentativo che aveva caratterizzato la decisione della Ctp di Genova.
In questo senso, i primi giudici, dopo aver valutato la sussistenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti, su cui si fondavano le contestazioni operate dall’ufficio, basate su riscontri documentali, avevano correttamente ritenuto del tutto legittimi gli atti impugnati, emessi ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973, mentre, di contro, avevano rilevato la mancata produzione di idonea prova contraria da parte dei contribuenti. In particolare, nel caso in esame, erano stati acquisiti i contratti di locazione in cui la società era stata intermediaria e, per ogni contratto acquisito, era stato effettuato il confronto tra i dati emersi dai contratti stessi, la contabilità e le fatture emesse. Dal riscontro di tale controllo documentale, era emersa l’omessa fatturazione di alcune operazioni di intermediazione, indicate specificatamente negli avvisi di accertamento.
Ebbene – osserva la Corte – non può assumere rilievo, nel caso concreto, l’affermazione della parte appellante di aver applicato, in relazione alle mancate fatturazioni riscontrate, una sorta di clausola di esonero alla percezione di provvigione nei confronti di alcuni proprietari di immobili, in deroga al diritto generale previsto per la mediazione dall’articolo 1755 cc, il quale prevede che “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Detta affermazione, a parere del Collegio d’appello, non può essere sufficiente a contrastare una previsione di legge: difatti, teoricamente il mediatore potrebbe rinunciare al diritto di percepire la provvigione da parte del proprietario dell’immobile, che gli ha conferito l’incarico, limitandosi a percepirla dal locatario, ma, a fronte della mancata fatturazione della prestazione e alla relativa contestazione da parte del Fisco, il contribuente è tenuto a fornire una prova certa (per esempio un contratto che preveda la gratuità della prestazione) e non può essere sufficiente a giustificare l’omessa fatturazione una dichiarazione postuma di un terzo.
Tra l’altro, conclude la Corte, alcuni dei contratti in questione riportavano la dicitura “pagato”, pur in assenza di fatturazione. Pertanto, sussistendo tali contratti che documentavano il buon esito dell’attività di mediazione, ai quali non corrispondeva l’emissione di fattura, l’ufficio aveva provato l’occultamento dei ricavi da parte della società, la quale non aveva prodotto idonea prova contraria, secondo il disposto di cui all’articolo 2697, comma 2 cc.
Il momento in cui si perfeziona il diritto del mediatore a percepire il compenso rappresenta una questione molto dibattuta nell’ambito della dottrina e della giurisprudenza civilistica.
Oltre alla norma del codice civile già citata, anche la legge 39/1989, concernente le modifiche alla disciplina della professione del mediatore, chiarisce che l’obiettivo del mediatore è di mettere in contatto le parti, agevolandole nella conclusione dell’affare.
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (significativa in tal senso è la sentenza n. 32066/2021), al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione, l’affare deve ritenersi concluso quando, tra le parti poste in relazione dal mediatore medesimo, si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione specifica del negozio, ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato. Pertanto, il diritto alla provvigione è escluso qualora tra le parti non sia stato concluso un “affare” in senso economico-giuridico, ma si sia soltanto costituito un vincolo idoneo a regolare le successive articolazioni del procedimento formativo dell’affare (come nel caso in cui sia stato stipulato un “preliminare di preliminare”, ossia un accordo prodromico alla stipula del preliminare stesso, di prassi applicativa molto diffusa).
Altra giurisprudenza ha specificato che il diritto sorge anche quando l’attività del mediatore è consistita nel reperire le informazioni e nell’indicare il contraente, senza che occorra la presenza del mediatore in tutte le fasi della trattativa (cfr Cassazione n. 25799/2014).
Ciò posto, la giurisprudenza ha anche chiarito che l’onerosità (cfr Cassazione n. 24118/2013) è elemento essenziale della mediazione: da qui, la correttezza della deduzione della sentenza in commento, ossia che la prestazione in questione può essere gratuita ma occorre un congruo apparato probatorio, predisposto dal contribuente, in tal senso.