Indagini bancarie: la smentita vaga non basta, serve una prova precisa

Il contribuente deve dimostrare analiticamente, che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili

ROMA – La presunzione legale delle risultanze delle indagini sui conti correnti del contribuente, che consente all’amministrazione finanziaria di accertarne maggiori redditi, può essere superata solo con la prova analitica di ogni singola movimentazione e non con una dimostrazione generica o indiziaria.    Questo il principio desumibile dall’ordinanza n. 10351 del 31 marzo 2022 della Corte di cassazione.

IL FATTO
La sentenza n. 117/01/2012 della Commissione tributaria regionale della Calabria, in accoglimento parziale dell’appello della società contribuente, aveva determinato il reddito sulla base della capacità reddituale rappresentata, nella fattispecie, dai posti barca locati e dal prezzo unitariamente percepito.
L’amministrazione finanziaria impugnava tale decisione presso la Corte di cassazione eccependo, tra l’altro, che era onere della società contribuente dimostrare che i versamenti e i prelievi sui conti correnti non fossero imputabili a ricavi.

La pronuncia della Cassazione
La Corte di Cassazione ha condiviso la posizione del Fisco chiarendo che: Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività”. La posizione dei giudici di appello, secondo cui la presunzione legale della norma troverebbe un limite nel principio di capacità contributiva, sicché il contribuente potrebbe rispondere all’Erario solo nei limiti della sua effettiva capacità reddituale, viene smentita dalla Corte che precisa: ”una simile interpretazione non è compatibile con l’orientamento giurisprudenziale consolidato che, in ragione della regola dell’inversione dell’onere della prova, dettata al fine di contrastare il fenomeno dei ricavi non dichiarati, pone a carico del contribuente la prova analitica  e non indiziaria della circostanza che i  versamenti risultino dalla contabilità e che i prelevamenti siano serviti per pagare determinati beneficiari”.
Prosegue, evidenziando che: “… la CTR finisce per contrapporre ad una presunzione legale una ulteriore presunzione semplice, concernente l’ammontare massimo dei ricavi percepibili attraverso l’attività esercitata, senza considerare la possibilità di ulteriori entrate dell’impresa e, soprattutto, la mancata analitica giustificazione delle medesime”.
Infine, sul punto, i giudici di legittimità concludono: “in definitiva la presunzione legale posta dall’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, favorendo l’emersione di redditi indebitamente sottratti al fisco, è data proprio al fine di attuare il principio di capacità contributiva che, quindi, del tutto erroneamente la CTR individua come limite applicativo della medesima disposizione”.

L’amministrazione finanziaria può fondare gli avvisi di accertamento su vari elementi, tra cui le risultanze delle indagini bancarie e finanziarie. Gli articoli 32 del Dpr n. 600/1973 (per le imposte dirette) e 51 del Dpr n. 633/1972 (per l’Iva) stabiliscono, infatti, che il Fisco può porre a base delle rettifiche e degli accertamenti i dati e gli elementi acquisiti da soggetti e operatori bancari (ivi compresa la società Poste italiane Spa), assicurativi, finanziari, creditizi, fiduciari, nazionali ed esteri. Si tratta di una presunzione legale relativa, che non necessita, a differenza di quella semplice, di una ulteriore prova, in quanto integra di per sé i requisiti di precisione, gravità e concordanza previsti dall’articolo 2729 cc, e sposta invece l’onere probatorio in capo al contribuente, il quale deve fornire prove analitiche, dettagliate e non generiche o indiziarie, perché, altrimenti, come evidenziato dalla Corte, finirebbe per contrapporre a una presunzione legale una presunzione semplice, inidonea pertanto a superare l’accertamento del maggior reddito e l’imputazione di versamenti e prelevamenti (questi ultimi nel caso del reddito d’impresa) a maggiori ricavi non dichiarati.

A tal riguardo, la costante giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: “in tema di accertamento sulle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l’art. 32 del DPR n. 600 del 1973 fonda una presunzione relativa circa la natura di ricavi sia dei prelevamenti, sia dei versamenti su conto corrente, superabile attraverso la prova, da parte del contribuente, che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che deve essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità” (cfr Cassazione, nn. 15161/2020, 16896/2014 e 13035/2012).
E ancora, a conferma della natura della presunzione e dell’onere probatorio in capo al contribuente, ha precisato che: “gli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze” (cfr Cassazione, nn. 13112/2020, 10480/2018 e 11102/2017).
Altresì, con la recentissima ordinanza n. 10569 del 1° aprile 2022, la suprema Corte ha ribadito che la presunzione legale si supera solo “… in forza di rigorosa prova da parte del contribuente in merito ad ogni singolo movimento … che non si tratti di operazioni imponibili ovvero che le stesse siano state considerate già come tali, anche con riferimento all’eventuale sussistenza di costi deducibili, ove non emergenti già dagli accertamenti effettuati” e – prosegue la Cassazione – “… ove poi il contribuente … fornisca prova analitica … il giudice è comunque tenuto ad una valutazione altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato, non essendo sufficiente una valutazione delle suddette movimentazioni per gruppi o categorie” (cfr Cassazione n. 30786/2018).
Le prove devono, pertanto, essere analitiche e dettagliate per ogni singola posta: non può essere considerata quindi valida la prova testimoniale, chiarendo la citata decisione che: “fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale (di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992), la dichiarazione extraprocessuale, nel processo tributario, può assurgere a mero elemento indiziario e non a valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c.” (cfr Cassazione nn. 29757/2018, 6616/2018 e 9080/2017).

Leave A Reply

Your email address will not be published.

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More

Privacy & Cookies Policy