Presunzione legale per l’erario in contabilità semplificata
Non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e può essere superata dal contribuente solo attraverso la prova analitica delle movimentazioni
Roma – I soggetti in regime di contabilità semplificata non sono affatto esonerati dall’obbligo di tenuta di una contabilità sufficientemente analitica da consentire “ex post” la ricostruzione del volume d’affari e di conseguenza del reddito.
Valida la verifica compiuta mediante indagini bancarie che aveva evidenziato molteplici operazioni prive di giustificazione (Cassazione 29245/2022).
La vicenda processuale interessata dall’odierno commento trae origine da tre avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle entrate nei confronti di un contribuente, esercente attività di intermediazione nel commercio, all’esito di un Pvc della Guardia di Finanza conseguente a verifica compiuta mediante indagini bancarie e finanziarie tramite le quali molteplici movimentazioni erano rimaste prive di giustificazione.
La Ctp di Grosseto accoglieva parzialmente i ricorsi di controparte riducendo le basi imponibili alle percentuali proposte dall’ufficio, per ciascuna annualità, in sede di infruttuoso accertamento con adesione.
La Ctr della Toscana respingeva gli appelli del contribuente e confermava la pronuncia di prime cure rilevando che la documentazione prodotta dal contribuente era inadatta a vincere la presunzione di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, Dpr n. 600/1973, indipendentemente dall’allegazione di aver svolto l’attività di procacciatore d’affari e non quella di commissionario per la vendita così come ritenuta dall’ufficio.
La parte ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi di impugnazione.
La Corte, con l’ordinanza n. 29245 del 7 ottobre scorso, ha rigettato il ricorso del contribuente condannandolo, altresì, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Controparte ha censurato la pronuncia di secondo grado ritenendola viziata ed erronea in ragione:
- dell’omessa valutazione della documentazione prodotta ed attestante la non imponibilità delle movimentazioni effettuate
- avuto riguardo al capo della sentenza in cui viene indicata come irrilevante l’attività svolta dal contribuente
- dell’inesatta applicazione, al caso di specie, della disciplina delle presunzioni di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, Dpr n. 600/1973, nonostante lo svolgimento, da parte del contribuente a suo dire, dell’attività di procacciatore d’affari e non quella di intermediario alla vendita
- infine, con riferimento al capo della sentenza secondo cui il metodo induttivo con inversione dell’onere della prova è applicabile anche ai casi di contabilità semplificata e non solo ordinaria.
I giudici di legittimità, trattando congiuntamente le eccezioni sollevate, le hanno rigettate ritenendole inammissibili e infondate.
Da un lato, la non ammissibilità di dette doglianze discende dalla circostanza che esse chiedono una nuova e più favorevole valutazione sul merito della controversia, già approfondito dalla Ctr nella sentenza impugnata, in violazione dei canoni in cui è ristretto il giudizio di legittimità (da ultimo Cassazione n. 7187/2022).
Nel merito, le medesime eccezioni sono state, altresì, ritenute infondate sotto taluni profili analizzati dai giudici della Cassazione.
Il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità prevede che “in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del DPR n. 600 del 1973 e 51 del DPR n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario…” (Cassazione n. 13112/2020).
Nel caso in esame, correttamente la Ctr Toscana aveva ritenuto che:
- i documenti presentati da controparte (e in specie tutte le lettere di incarico per procacciamento di affari tranne una) si riferivano in larga parte a “segmenti temporali” diversi dagli anni d’imposta accertati
- “i documenti riferibili ai suddetti anni nulla di per sé erano in grado di attestare rispetto alla tesi del contribuente secondo cui la sua attività di procacciatore di affari comportava anche che i pagamenti tra acquirente e venditore di merce, in operazioni da lui intermediate, venivano effettuati sui suoi conti”.
Sotto altro profilo ed in linea generale, il legislatore, in tema di indagini finanziarie, non prevede alcuna distinzione tra contribuenti in contabilità ordinaria o semplificata.
Dunque, le presunzioni di cui all’articolo 32 del Dpr n. 600/73 vigono anche nei confronti delle imprese che abbiano adottato il regime della contabilità semplificata, come nel caso di specie.
Difatti, seppur suggestiva, sul punto, la tesi del contribuente secondo cui “il metodo induttivo con inversione dell’onere della prova sia applicabile esclusivamente ai soggetti che tengono la contabilità ordinaria” essa veniva decisamente respinta dalla Cassazione la quale riteneva corretta la decisione adotta dalla Ctr in quanto, a contrario, si verificherebbe un ingiustificato trattamento di favore nei confronti dei soggetti che tengono la contabilità in regime semplificato.
Il combinato disposto di cui agli articoli 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, Dpr n. 600/1973, nella versione “ratione temporis” vigente (ossia quella introdotta dalla legge n. 311/2004) e 18, comma 1, del Dpr n. 600/1973 prevede che i soggetti in contabilità semplificata non sono affatto esonerati dall’obbligo di tenuta di una contabilità sufficientemente analitica da consentire “ex post” la ricostruzione del volume d’affari e di conseguenza del reddito.
Proprio alla luce di ciò, la Suprema corte ha già avuto modo di ribadire che la presunzione legale di cui al citato articolo 32 con conseguente applicazione del principio dell’inversione dell’onere della prova “si applica anche alle imprese che abbiano adottato il regime della contabilità semplificata” (Cassazione n. 40221/2021).