Fatture con costi gonfiati, è falsità oggettiva e soggettiva

Roma – Le operazioni fatturate possono essere al contempo qualificate come soggettivamente e oggettivamente inesistenti, in merito alla parte relativa al costo “gonfiato” grazie a contratti d’appalto non genuini. È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza numero 27548 del 23 ottobre 2024, della Corte di cassazione.

Nello specifico – spiega Fisco Oggi –  la pronuncia deriva da un ricorso proposto da una società a responsabilità limitata, nei confronti di una sentenza della Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio. I giudici di merito, riguardo alla figura della somministrazione illecita di manodopera, avevano qualificato, sulla base delle risultanze di due diversi avvisi di accertamento emessi a seguito di Pvc, come soggettivamente inesistente l’operazione principale sottesa, mentre il ricarico riconosciuto alla società emittente quale sovrafatturazione.

 

Esaminando il caso specifico emergevano numerose irregolarità, contabili e no, ed elementi di fatto idonei a qualificare gli emittenti quali “società cartiere”, che erano state utilizzate sia per l’operazione di fittizia esternalizzazione sia per abbattere la base imponibile ai fini Ires, attraverso la fatturazione di servizi mai eseguiti.

Qualificazione delle operazioni fatturate
I giudici di legittimità nel rigettare il ricorso, confermando la decisione di merito, hanno avvalorato la qualificazione di operazioni soggettivamente inesistenti in riferimento alla somministrazione illecita di manodopera, posta in essere in violazione del DLgs n. 276/2003.

Tale qualificazione non è affatto scontata, infatti in diverse occasioni la stessa Corte di cassazione ha diversamente qualificato le operazioni sottese ai contratti di appalto “non genuini” costituiti al fine di mascherare la somministrazione di lavoro.

A questo proposito ricordiamo brevemente, come l’articolo 29 del Dlgs n. 276/2003, dia una definizione del contratto di appalto (pressoché coincidente con l’inquadramento fornito dal Codice civile agli articoli 1655 e seguenti) proprio allo scopo di distinguere le due figure e di evitare abusi.

Nel legiferare tale distinzione l’elemento caratterizzante del contratto di appalto, che potremmo definire “genuino”, è quello dell’organizzazione di mezzi/persone a carico dell’appaltatore oltre alla gestione del rischio sempre a carico di quest’ultimo.

Concluso questo necessario excursus normativo, la Cassazione, basandosi su realtà fattuali differenti, ha qualificato le operazioni indicate nelle fatture come:

  • operazioni giuridicamente inesistenti (o anche qualitativamente inesistenti), quando si è in presenza di una divergenza fra realtà fattuale e rappresentazione esposta in fattura. Ciò avviene quando il contratto di appalto, seppur formalmente redatto secondo le caratteristiche previste dal Codice civile, nella sostanza celi una somministrazione di manodopera esercitata da un soggetto non autorizzato a compierla (cfr Cassazione, sentenza n. 45114/2022)
  • operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto, nonostante la “realtà” delle prestazioni sottostanti, nel caso di somministrazione di manodopera, ove illecita, non è prevista ab origine l’emissione della fattura e, pertanto, non è ammissibile la contabilizzazione, a opera della committente, dei documenti contabili quali elementi passivi (cfr Cassazione, sentenza n. 31202/2019)
  • operazioni soggettivamente inesistenti, nel caso in cui il contribuente abbia costituito un “sistema di intermediazione fittizia nella catena di fatturazione” al fine di far risultare di fatto, alle sue dipendenze, lavoratori incardinati presso altre società.

Nel caso esaminato, la società ricorrente, attraverso il suo legale rappresentante, si era avvalsa dell’esternalizzazione dei lavoratori, attività di per sé lecita, che tuttavia, da alcuni elementi messi in luce in sede di verifica (quali le cospicue irregolarità fiscali emerse in capo alle fornitrici e le dichiarazioni raccolte da dipendenti e amministratori delle stesse società) era stata riqualificata quale fittizia esternalizzazione. Tale outsourcing nasceva, invero, al solo scopo di inserire in contabilità fatture provenienti dalle società false fornitrici e, quindi di trarre dall’operazione indebita vantaggi fiscali.

In particolare, il legale rappresentante aveva costituito due consorzi “con lo scopo di creare un filtro tra la beneficiaria della frode e le varie cooperative che eseguivano materialmente i lavori”. Tali consorzi e cooperative erano amministrati da persone di fiducia dello stesso legale rappresentante, costituiti proprio al fine di far ottenere alla società ricorrente un indebito vantaggio di imposte.

Questa ricostruzione ha condotto sia i giudici di merito che quelli di legittimità a ritenere operante un’interposizione all’interno della catena commerciale volta a frodare il fisco, attraverso salti d’imposta fra i vari soggetti della catena, perlopiù società “cartiere”.

La partecipazione attiva del legale rappresentante della ricorrente, inoltre, ha rappresentato una presunzione grave e precisa della sua consapevolezza della frode, essendo pressoché impossibile fornire la prova contraria della buona fede del medesimo, prova necessaria al fine di dimostrare l’estraneità alla frode fiscale e a escludere la soggettiva inesistenza.

Contemporanea presenza di fatturazione per operazione soggettivamente e oggettivamente inesistente
La pronuncia in esame, inoltre, rigetta quanto esposto in sede di ricorso dalla società, relativamente alla doppia contestazione di soggettiva e oggettiva inesistenza della medesima fattura.

I giudici di legittimità, infatti, nell’ammettere il corretto operato dell’Amministrazione finanziaria, sia in sede di verifica che di avvisi di accertamento, riconoscono l’ammissibilità della duplicità di contestazione, in quanto la stessa è avvenuta con articolazione sotto separati profili.

Nell’atto impugnato, infatti, era stata miratamente contestata la soggettiva inesistenza come in precedenza descritto, ma anche, sempre “in attuazione del medesimo meccanismo fraudolento”, la contabilizzazione di costi “gonfiati” attraverso la sovrafatturazione delle prestazioni ricevute. Il contribuente, dal canto suo, non aveva provato l’effettuazione delle operazioni oggetto della sovrafatturazione, non essendo sufficiente la mera regolarità contabile della registrazione e l’esibizione dei mezzi di pagamento delle fatture, in quanto, come ribadito nel caso in esame, tali elementi sono di facile manipolazione e vengono utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (cfr Cassazione, sentenza n. 26790/2020).

La Corte di cassazione afferma pertanto che, ove ne ricorrano i presupposti, è ammissibile l’applicazione contestuale di due forme di contestazione (nella specie soggettiva ed oggettiva inesistenza) in merito alle medesime operazioni.

Resta salva la facoltà, per il contribuente, di fornire la prova contraria, che nello specifico sarebbe consistita, da un lato, nella buona fede, mentre dall’altro, nell’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

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