Roma – Non ha natura retroattiva la modifica del 2016 all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 in tema di prelevamenti bancari. Secondo tale disposizione, ai fini della determinazione del maggior reddito, solo i prelievi superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, 5.000 euro mensili rilevano come elementi posti a base di rettifiche e accertamenti, sempre che il contribuente non ne indichi il beneficiario e non risultino dalle scritture contabili. In altri termini, per le operazioni inferiori a tali importi, non opera la presunzione a favore dell’amministrazione, ma è quest’ultima a dover provare l’imputazione del prelievo a ricavo. Tale modifica si applica solo a decorrere dal 3 dicembre 2016, data di entrata in vigore della modifica, non impattando sul contenzioso pendente.
Lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 19774 del 22 settembre 2020 con cui ha rigettato il ricorso di una sas in relazione ad alcuni avvisi di accertamento emessi con l’utilizzo delle indagini finanziarie.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La vicenda parte da alcuni avvisi di accertamento emessi (nei confronti di società e relativi soci) con l’utilizzo di documentazione extracontabile e di documenti bancari. La Ctp di Savona accoglieva parzialmente il ricorso dei contribuenti con sentenza ribaltata in appello ove la Ctr, in accoglimento dell’appello incidentale dell’ufficio, confermava integralmente gli avvisi impugnati.
Col successivo ricorso per Cassazione i contribuenti denunciavano innanzitutto violazione dell’articolo 2697, comma 1, codice civile e degli articoli 51, secondo 2, n. 2 del Dpr n. 633/1972 e 32, comma 1, n. 2 Dpr n. 600/1973 in quanto l’ufficio non ha assolto l’onere probatorio a suo carico, utilizzando i dati bancari di terzi diversi dalla società, in particolare i soci, ma sui quali vi potevano essere anche movimenti esclusivamente personali, non riferibili alla società.
Il motivo è stato giudicato infondato alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che, per le società di persone e a ristretta base azionaria, consente di utilizzare le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché lo stretto legame tra i soci è idoneo a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari (cfr Cassazione n. 30098/2018).
Nel caso più specifico delle società in accomandita semplice, è stata affermata la riferibilità alla società in accomandita semplice, in assenza di conti correnti intestati alla stessa o al socio accomandatario, della movimentazione del conto corrente formalmente intestato al socio accomandante, atteso che la mera sussistenza del rapporto societario, pur in assenza di poteri gestori, fa presumere – ai sensi dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 – che le operazioni siano state compiute nell’interesse della società e gestite economicamente dal socio accomandatario, salvo prova contraria di cui è onerato il contribuente (cfr Cassazione n. 15006/2017).
Maggiormente interessante è stato il chiarimento fornito in ordine alla portata dello ius superveniens invocato dai contribuenti, rappresentato dall’art. 7-quater, comma 1, lettera a) e b) Dl n. 193/2016 convertito, con modificazioni, in legge n. 225/2016.
Tale normativa ha modificato l’articolo 32 Dpr n. 600/1973 stabilendo che, ai fini della determinazione del maggior reddito, solo i prelevamenti superiori a 1.000 euro giornalieri e, comunque, 5.000 euro mensili rilevano come elementi posti a base delle rettifiche ed accertamenti, sempre che il contribuente non ne indichi il beneficiario e non risultino dalle scritture contabili.
Secondo il contribuente tale disposizione, avendo natura procedurale, dovrebbe applicarsi in via retroattiva andando così ad incidere sugli accertamenti impugnati con conseguente annullamento delle relative riprese in quanto per le operazioni inferiori a tali importi, non opera la presunzione a favore dell’amministrazione, ma è quest’ultima a dover provare l’imputazione del prelievo a ricavo.
La Cassazione respinge tale interpretazione richiamando un recente arresto secondo cui la modifica del Dpr n. 600/1973, articolo 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, non ha portata retroattiva in quanto già una precedente modifica del citato articolo 32 del Dpr n. 600/1973 era stata considerata dalla Cassazione come non avere portata retroattiva: cfr Cassazione sentenza n. 27845/2018, secondo cui in tema di indagini bancarie, la presunzione legale relativa in favore dell’Amministrazione prevista, previa modifica del Dpr n. 600/1973, articolo 32 con riguardo ai versamenti effettuati su un conto corrente anche dai professionisti e dai lavoratori autonomi, non ha efficacia retroattiva, poiché si tratta di una norma che non riveste natura processuale, essendo quelle in tema di presunzioni abitualmente collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile (cfr Cassazione n. 26683/2019).
Va considerato altresì che gli articoli 10 e 11 del codice civile prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione (Corte Costituzionale, sentenze n. 193/2017 e n. 257/2017; Cassazione, sentenze n. 4407/2018, n. 23424/2017 e n. 13597/2017), assente nel caso di specie.
Il principio di tendenziale irretroattività della legge civile è stato affermato anche dalla Corte di giustizia (Grande sezione, 6 settembre 2011, C-108/10, p. 83) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.