Roma – È legittimo l’avviso di liquidazione emesso nei confronti di un contribuente che ha donato alla moglie 12milioni di euro eseguendo l’accredito su un conto fiduciario, anche se il denaro solo dopo 24 ore è stato trasferito, come “finanziamento soci”, su un conto di una società a lui intestata. A nulla vale il rilievo dei coniugi, secondo i quali nell’operazione è assente l’animus donandi e il trasferimento della somma non ha realizzato alcun arricchimento della moglie, essendo stato destinato alla società del marito. È in sintesi il contenuto della sentenza della Cassazione n. 27665 del 3 dicembre 2020.
Il caso esaminato nella sentenza trae origine da un avviso dell’Agenzia per omessa registrazione di una liberalità indiretta di 12 milioni di euro effettuata da un contribuente a favore della moglie e dalla conseguente liquidazione dell’imposta sulle donazioni.. I coniugi ricorrono contro la sentenza della Ctr che aveva riformato la sentenza di primo grado, favorevole ai contribuenti e impugnata dall’Agenzia, riliquidando l’imposta di registro del 7% con la franchigia di un milione di euro.
Secondo i giudici della Ctr, infatti, la donazione era esistente e, di conseguenza era integrato il presupposto del tributo calcolato, secondo le previsioni dell’articolo 56-bis, commi 1 e 2, Dlgs n. 346/1990, con aliquota al 7% sulla parte eccedente la franchigia di un milione di euro prevista “nuova” imposta sulle successioni e donazioni del Dl n. 262/2006. L’articolo 56-bis disciplina le “liberalità diverse dalle donazioni” cioè quelle erogazioni indirette che consistono in comportamenti materiali o che risultano da documenti scritti per i quali non è prevista la registrazione, rilevanti, tuttavia, ai fini impositivi.
Il ricorso dei coniugi si basa su due motivazioni. Con la prima i ricorrenti contestano alla Ctr di aver ritenuto l’operazione di accredito sul conto fiduciario e il successivo trasferimento della somma sul conto corrente della società del marito, una liberalità indiretta da assoggettare a tassazione. A parere dei coniugi, quindi, il transito delle somme per un tempo di 24 ore non configura una donazione. Con la seconda i coniugi lamentano il fatto che l’articolo 56-bis, su cui si basava la sentenza della Ctr, non solo non è rimasto in vigore, ma neppure potrebbe trovare integrale applicazione nella sua formulazione originaria (con aliquota del 7% per la parte eccedente i 350milioni di lire).
Entrambe le motivazioni sono state ritenute infondate dalla Cassazione.
A parere dei giudici di legittimità, infatti, nel prospettato finanziamento soci mancherebbe la relativa deliberazione da parte della società fiduciaria, in assenza della quale risulta evidente la presenza dell’arricchimento senza corrispettivo, elemento che si rinviene anche nelle liberalità atipiche che producono gli stessi effetti di una donazione senza essere soggetti a specifiche forme scritte (articolo 769 codice civile).
Riguardo la seconda motivazione la Cassazione evidenzia che la “liberalità” è stata effettuata nell’anno 2011, quindi dopo la reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, comma 47, Dl. n. 262/2006. In base a tale norma “È istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”, mentre il successivo comma 50 prevede che “Per quanto non disposto dai commi da 47 a 49 e da 51 a 54 si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dal citato testo unico di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001”.
Dunque, secondo la Suprema corte, l’articolo 56-bis non si può ritenere implicitamente abrogato come sostenevano i ricorrenti. Tale disposizione, quindi, va interpretata nel senso che le liberalità diverse dalle donazioni ossia tutti quegli atti con cui viene realizzato un arricchimento (del donatario) correlato a un impoverimento (del donante) senza l’adozione della forma solenne del contratto di donazione tipico (articolo 769 codice civile) e che costituiscono manifestazione di capacità contributiva, essendo irrilevante la forma del contratto e importante invece il trasferimento economico, sono accertate e sottoposte a imposta in presenza di una dichiarazione sulla loro esistenza, resa dall’interessato.
La Corte di cassazione, quindi, fornisce una lettura dell’evoluzione normativa secondo la quale la liberalità indiretta avvenuta tra i coniugi, accertata dall’Agenzia delle entrate, avrebbe dovuto scontare l’aliquota dell’8% al di sopra della franchigia ordinaria, mantenendo così la funzione latamente sanzionatoria contemplata dal legislatore (l’aliquota del 7% non esiste più e non era coerente mescolare aliquote e franchigie vecchie con le nuove). Tuttavia, non avendo l’Agenzia posto in giudizio la questione delle aliquote, la Cassazione ritiene corretto l’operato dei giudici della Ctr che hanno applicato quella più favorevole del 7 per cento.