Indizio trovato nella borsa valido, quando ad aprirla è il contribuente

La specifica autorizzazione del procuratore della Repubblica non è richiesta nelle ipotesi in cui le attività di ricerca si svolgano in collaborazione con il soggetto verificato

Roma – È legittimo l’avviso di accertamento analitico induttivo basato sui dati e documenti scovati nella borsa aperta spontaneamente dall’imprenditore durante una verifica fiscale. Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 737 del 19 gennaio 2021, ha respinto il ricorso di una società. Il caso in esame, riguarda alcuni accertamenti emessi con metodo induttivo. La Ctr Lazio, confermando la pronuncia di primo grado, annullava solo parzialmente le riprese.
Di qui il ricorso per cassazione, con cui la contribuente denunciava, tra l’altro, violazione dell’articolo 52 del Dpr n. 633/1972 in quanto, a suo dire, la Ctr aveva indebitamente ritenuto legittimo l’utilizzo dei contenuti di una pen drive reperita nel corso della verifica.

Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere, prescritta dall’articolo 52, terzo comma, del Dpr n. 633/1972 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 33, Dpr n. 600/1973), sia richiesta soltanto nel caso di “apertura coattiva”, e non anche quando l’attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente (cfr Cassazione n. 3204/2015).
Di conseguenza, deve ritenersi legittima l’acquisizione di documentazione custodita all’interno di una borsa rinvenuta in sede di verifica fiscale laddove, come nel caso in esame, l’apertura della stessa è avvenuta sia pur non spontaneamente, comunque volontariamente.
Nel concreto infatti, essa si è perfezionata in seguito alla richiesta dei verificatori, alla quale è stato dato corso, senza che sia stato opposto rifiuto di rimuovere ostacoli all’accesso ai documenti e non risultando in atti e nella sentenza che sia stato necessario, per i verificatori, forzare alcun meccanismo di chiusura della borsa stessa. Pertanto, non si ricade in alcun caso di apertura “coattiva”, o contro la volontà del contribuente, per l’esecuzione della quale operazione è necessaria l’autorizzazione del Pubblico ministero.

Sul punto in particolare si evidenzia anche che l’articolo 52 del Dpr n. 633/1972 disciplina le attività degli organi verificatori presso i locali dei contribuenti, al fine di reperire documenti e altri mezzi di prova per l’accertamento dell’imposta evasa. La disposizione è congegnata in modo da contemperare, anche in ossequio al principio di rango costituzionale di inviolabilità del domicilio (articolo 14 Costituzione.), l’interesse del Fisco alla repressione dei fenomeni evasivi con le garanzie previste a favore dei contribuenti.
Anche per l’apertura di cassetti e borse e quant’altro risulti protetto da chiusure, è necessaria l’autorizzazione del magistrato, in quanto tali beni sono attratti nella categoria concettuale del domicilio.

L’eventuale assenso del contribuente – che fa venir meno la richiesta di autorizzazione al magistrato – legittima l’operato dei verificatori, consenso che dovrà essere trascritto sia nel processo verbale di accesso o giornaliero che nel processo verbale di constatazione. Sul punto, è emblematica la sentenza della Cassazione n. 9565/2007, secondo cui occorre l’autorizzazione del procuratore della Repubblica solo per procedere ad “apertura coattiva” di borse, non essendo, invece, necessaria l’autorizzazione ove l’acquisizione di documenti contenuti in borse sia avvenuta con la collaborazione e in continua presenza del figlio e della moglie del contribuente e, comunque, senza la manifestazione di alcuna contraria volontà (cfr. Cassazione nn. 24306/2018, 3204/2015 e 9565/2007 e, nell’ambito della giurisprudenza di merito, Ctr Marche 564/1/2016).
Infine, va segnalato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, nel caso di accesso domiciliare già autorizzato dall’Autorità giudiziaria, non è necessaria una ulteriore autorizzazione specifica all’apertura di cassetti e borse, per la forza attrattiva della prima autorizzazione. Una volta valutata la sussistenza degli indizi di cui all’articolo 52 del Dpr n.633/1972, l’autorizzazione si estende all’intero domicilio (e quindi anche a cassetti, borse, plichi eccetera, in virtù della forza attrattiva di cui sopra). Sul punto, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14056/2006, in maniera netta e chiara, ha operato una distinzione: “l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica per l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e simili, prevista dall’art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, richiamato dall’art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973, è richiesta solamente nel caso di accesso disposto dagli uffici […] nei locali dell’impresa, ma non anche nel caso di perquisizione domiciliare già autorizzata dall’Autorità giudiziaria, essendo evidente che l’autorizzazione alla perquisizione domiciliare è comprensiva di ogni attività strumentale necessaria per l’acquisizione delle prove (Cass. n. 20824/2005)”.

 

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