Roma – La pratica dell’agricoltura è un’attività non esente da rischi per la salute dei lavoratori, anzi, è uno dei comparti lavorativi in cui è elevata la probabilità di insorgenza di patologie professionali.
È sufficiente citare l’uso di antiparassitari, l’esposizione alle intemperie, le posture spesso non corrette per comprendere solo alcuni dei rischi di contrarre una malattia professionale cui i lavoratori sono frequentemente esposti. Va da sé che la salute (come la sicurezza) dei lavoratori deve rappresentare un requisito indispensabili per la gestione di un’attività agricola.
Dall’analisi dei casi di tecnopatia denunciati nel quinquennio 2015/2019 nella gestione Agricoltura si può positivamente apprezzare una consistente diminuzione, da 12.267 a 11.287 casi, -8,0%, a fronte di un aumento, nello stesso periodo, nella gestione Industria e Servizi, del 7,6%.
Se si vanno a considerare poi i soli casi definiti positivamente, tale calo è ancora più evidente, dai 6.686 casi del 2015 ai 5.440 del 2019 (-18,6%), calo, in questo caso, registrato anche nella gestione Industria e Servizi ma in misura molto più contenuta (-4,4%).
Tale trend in diminuzione, costante nel triennio 2015/2017, si era interrotto nel 2018 che aveva fatto segnare un segno più rispetto l’anno precedente. Sembra però ora ripreso nel 2019 che, seppur scontando i tempi piuttosto lunghi necessari per la definizione di un caso di malattia professionale denunciato, segna per ora un incoraggiante -10,1%. Sempre considerando i casi definiti positivamente dal 2015 al 2019, il 68,5% è relativo a lavoratori di sesso maschile mentre il 31,5% a lavoratrici.
Dall’analisi territoriale si nota come ci sia un’equa distribuzione dei casi di tecnopatia tra Nord-est (28,6%), Centro (28,9%) e Sud (27,7%), mentre sono significativamente più basse le percentuali per le altre Macroaree, 8,2% le Isole e solo 6,6% il Nord-ovest. La fascia di età più colpita è quella dai 56 ai 60 anni, con oltre il 23% dei casi, seguita dalle fasce 51-55 e 61-65, rispettivamente 18,7% e 17,9%, quindi tra i 50 e i 66 anni sono compresi ben il 60% dei casi totali.
Tale dato, considerando anche un importante 9,1% per gli ultra 70enni, sembra confermare l’immaginario comune di un lavoratore agricolo, in genere, più anziano rispetto l’età media di altri settori. La quasi totalità dei casi ha riguardato lavoratori italiani, il 98,3%, mentre tra gli stranieri si registra uno 0,2% sia per lavoratori svizzeri, rumeni e albanesi. Da notare come queste percentuali siano più basse rispetto alla gestione Industria e Servizi dove i casi di malattie professionali riconosciute a lavoratori stranieri sono state pari al 7% del totale (contro l’1,7% dell’Agricoltura).
Tra le patologie riscontrate, più del 75% sono state malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo, tra queste Dorsopatie e Disturbi dei tessuti molli rappresentano la quasi totalità dei casi (97,4%), poi malattie del sistema nervoso, il 17,3% e malattie dell’orecchio con il 5,1%.
Tutte le patologie hanno registrato un decremento dal 2015 al 2019, a meno dei Tumori, passati da 47 a 69 casi, e alle malattie della cute e del tessuto sottocutaneo, triplicate, dai 20 casi del 2015 ai 59 del 2019.
Tra gli indennizzi, il 75,3% è rappresentato da indennizzi in capitale, il 23,1% da rendite dirette, l’1,4% da temporanee e lo 0,1% da rendite a superstiti corrispondenti a 32 casi nel quinquennio. Analizzando infine i dati, ancora provvisori, del 2020, i casi di malattie professionali protocollate sono 7.504, ossia il 33,6% in meno rispetto il 2019. Relativamente a tale valore va considerato che i dati 2020 sono fortemente condizionati dalla pandemia tutt’ora in corso, iniziata proprio nei primi mesi dello scorso anno, che ha costretto gran parte dei lavoratori a ridurre la propria attività lavorativa, con una conseguente riduzione di casi di malattie professionali denunciate anche per l’effetto indiretto della difficoltà di ricorrere ai presidi sanitari e amministrativi.