Roma – Sempre più spesso nel contesto delle compravendita ci si imbatte in problematiche relative ai rapporti condominiali del precedente proprietario e venditore dell’immobile. Ed è l’acquirente che per tutelarsi ed evitare spiacevoli sorprese dopo il rogito, deve accertarsi nelle fasi preliminari della trattativa, e quindi addirittura prima della stipula di un eventuale compromesso di compravendita. Il prezzo della stessa può essere infatti influenzato dalla sussistenza di eventuali debiti gravanti sull’immobile oggetto d’acquisto. La difficoltà dell’acquirente è la condizione in cui si trova, pur essendo un “possibile” nuovo proprietario non ha alcun titolo per richiedere informazioni al condominio, e l’amministratore non può, senza delega o assenso del proprietario-venditore rilasciare alcunchè. Nei casi di una compravendita trasparente e senza sussistenza di debiti condominiali, il venditore non ha certo alcun problema nel chiedere all’amministrazione il rilascio di un quadro della situazione aggiornato e fornirlo all’acquirente. Ci sono però casi in cui il venditore non è un privato ma una società e non sempre è facile districarsi in questa matassa.
Resta comunque opportuno conoscere la storia dell’immobile e la situazione condominiale sullo stato dei lavori sulla manutenzione generale ordinaria e straordinaria.
Alcuni notai, richiedono una sorta di “liberatoria” fornita dal condominio e che si presenta in sede di rogito, ma si tratta di una formalità non assolutamente vincolante ed obbligatoria. Per questo molti amministratori, errando, intendono che non si possa stipulare un atto senza la liberatoria del condominio. In questo caso verrebbe meno il diritto essenziale alla proprietà privata e alla libera trattativa di compravendite. Detta liberatoria non può certo essere l’elemento fondante per la stipula a livello normativo, quanto è sicuramente opportuna a tutela dell’acquirente e del venditore, che trattando in trasparenza non si troveranno a dover affrontare in seguito amare sorprese, o l’insorgenza di questioni successive da far valere di fronte alla legge.
Ma al di la di questo, il dubbio che spesso si pone è: spettano realmente all’acquirente i gravami dei debiti condominiali esistenti? Il riferimento normativo è l’art.63 disp.att.c.c.- art.1130 c.c in cui si evidenzia come la vendita di una unità immobiliare comporti la responsabilità solidale tra venditore e acquirente nei confronti del condomìnio in merito al pagamento degli oneri condominiali pregressi.
Pertanto chi subentra nei diritti di un condòmino per effetto del rogito di compravendita è quindi obbligato solidalmente al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente (con riferimento chiaro all’art.63, comma 4, disp. att. c.c.).
E’ regola generale che le obbligazioni condominiali sorgono in capo al titolare del diritto
momento in cui nasce la specifica obbligazione. Tuttavia, fa eccezione alla regola il disposto dell’art. 63, c.4, disp. att. c.c., in forza del quale, per il principio di solidarietà, l’amministratore può pretendere il pagamento degli oneri condominiali, a titolo di contributo, indifferentemente sia dal venditore che dall’acquirente. In pratica l’amministratore può rivolgersi al nuovo condòmino, proprietario dell’appartamento, e ricorrere, se necessario, al decreto ingiuntivo nei suoi confronti per le morosità pregresse.
Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”. In buona sostanza, anche dopo la sottoscrizione del contratto di compravendita, soloil venditore rimane obbligato in prima persona per il pagamento dei contributi condominiali fino a quando non si trasmette all’amministratore una dichiarazione di una delle parti. Solo da questo momento l’alienante perde definitivamente lo status di condòmino, che passa in capo all’acquirente, e può trovare applicazione la “solidarietà passiva” a suo carico.
L’acquirente può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali in solido con l’alienante solo per le spese relative all’anno di gestione (che non coincide necessariamente con l’anno solare), nel corso del quale è avvenuto il subentro, e all’anno precedente a quello dell’atto di vendita. Cioè, il vincolo di solidarietà tra acquirente e alienante si riferisce all’anno “contabile”.
Per gli anni successivi unico responsabile per eventuali inadempimenti sarà il nuovo proprietario e l’amministratore non potrà pretendere nulla dal venditore. In altri termini, poiché l’acquirente subentra al venditore ma non lo sostituisce, il meccanismo del subentro dell’acquirente nei debiti condominiali del venditore opera unicamente nel rapporto tra il condomìnio ed i soggetti che si succedono nella proprietà della singola porzione immobiliare e non anche nel rapporto interno tra alienante ed acquirente.
In tale ultimo rapporto, quindi, ognuno paga le spese sorte quando era condòmino. Ciò significa che l’acquirente risponde verso il condomìnio soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui sia divenuto condòmino, mentre ha diritto di rivalsa nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condomìnio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all’acquisto (Cass. civ., n. 1956/2000).
Orbene nel caso di proprietari morosi, il condominio tende ad assommare e quindi portare in consuntivo la somma maturata anche dagli anni precedenti, in maniera tale da fargli assumere la caratterizzazione di “importo relativo all’anno precedente”.
Su questo tema però la giurisprudenza non è molto in linea.
Resta spesso e tutto intero il legittimo dubbio sulla sorte dei debiti maturati prima del biennio. Se residuano infatti contributi per il periodo precedente detto biennio, il pagamento può essere comunque imputato al nuovo acquirente?
È possibile richiedere la somma cumulativa a chi ha acquistato se questo saldo negativo è riportato nel rendiconto attualizzato? Insomma il debito di un’annualità inserito in quella successiva resta riferibile a quella nella quale s’è originato oppure diviene parte di quella in cui è menzionato?
In tal senso è stato affermato che «è nulla la deliberazione assembleare che violi il criterio legale di imputazione dei contributi condominiali: compete al nuovo acquirente solo il pagamento delle spese dovute e non versate nel biennio che precede l’acquisto». (Trib. Parma 11 ottobre 2017 n. 1386).
Per le spese dovute e non versate nel biennio che precede l’acquisto a rispondere verso il condominio è il soggetto proprietario intestatario e quindi condòmino del periodo pregresso, non operando la solidarietà di cui all’art. 63, terzo comma, disp. att. c.c. indipendentemente dall’inserimento di quel debito nei rendiconti degli anni successivi a quello in cui è sorto.
In tal caso l’amministratore potrà agire con un’azione monitoria ordinaria e non con il ricorso per decreto ingiuntivo ex art. 63, primo comma, disp. att. c.c. non rivestendo più quella persona la qualità di condòmino che giustifica il ricorso a quest’azione.
Resta poi da valutare se le spese d’azione per il recupero siano giustificate dall’entità della somma.
Nel caso in cui ad esempio, il precedente intestatario/condòmino sia una società e liquidata ed inattiva a responsabilità limitata, il credito maturato prima del bienno diventa “inesigibile”, in quanto non può gravare sui soci alcun onere in ragione della struttura giuridica delle società a responsabilità limitata.
Periodicamente, infatti come accade nell’amministrazione degli enti pubblici, il condominio deve predisporre una specifica voce in bilancio “crediti inesigibili” ed inserire tutte quelle somme che non possono essere recuperate.
Nel caso di condòmini morosi, siano essi privati o società o altre forme giuridiche, il condominio può fare azioni legali, iniziando dal decreto ingiuntivo, ma deve sempre tener conto, prima di dare incarico al legale, che poi il soggetto su cui si effettua il presunto recupero sia nelle condizioni di poter onorare. Se ad esempio ci si imbatte in un condòmino che non risulti essere proprietario di alcunchè, l’unica strada può essere quella del pignoramento di una quota del quinto, sempre che ne sussistano gli elementi. Ossia che il condòmino sia stipendiato, o pensionato. Nel caso di nullatenenti, senza veicoli intestati e/o altre proprietà, l’unica via è quella di arrivare al pignoramento del bene intestato al condòmino moroso. Ma anche qui ci si imbatte in una matassa a dir poco intricata.
Serve pertanto assistenza legale continua in determinate situazioni per tutelare soprattutto quei condomini che intraprendono azioni legali senza tener conto di questi fattori. Si rischia di distrarre fondi condominiali senza poi non solo recuperare nulla, ma anzi rimettendo dalle casse spese per gli adempimenti. Nel caso di pignoramento del bene, infine, va accertato se la somma dovuta al condominio giustifichi l’azione.
Ad esempio se il moroso è un condòmino proprietario di un appartamento del valore catastale di trentamila euro, ed il debito ammonta ad euro 7.000, il condominio dovrà spendere una somma quasi eguale per arrivare al pignoramento, che poi non potrebbe riguardare l’intero immobile, ma solo una quota sul valore pignorato.
A seguito di ciò il condominio diventerebbe comproprietario della quota del bene minoritaria, e non potrà disporne liberamente ed anzi graverà sullo stesso condominio la quota di Imu, tari, ed altri oneri.
L’unico caso in cui ad un condominio convenga adire al pignoramento è l’entità del debito, ossia se la somma creditizia corrisponde al valore di una intera unità immobiliare per cui possa entrarne in libero e pieno possesso, per poi poterla poi rivendere, o affittare o gestire motu proprio.