Roma – La Commissione tributaria della Liguria, con la sentenza n. 621 del 18 luglio 2022, ha ribadito che, ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi, contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese.
Di conseguenza, è valida la notifica dell’accertamento intestato alla società estinta presso il liquidatore, ultimo legale rappresentante dell’ente, avvenuta nel quinquennio.
Il liquidatore di una società proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento, in relazione a un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate con recupero di costi ritenuti indebitamente detratti. Il ricorrente eccepiva, per quanto ci occupa in questa sede, che la società era stata cancellata nel 2015, oltre a pretese numerose criticità dell’atto, fra le quali il difetto di sottoscrizione, la decadenza del potere di rettifica nonché la mancata allegazione di atti richiamati.
I primi giudici ritenevano che, ai sensi dell’articolo, comma 4, Dlgs n. 175/2014, il potere di rappresentanza delle società estinte permanesse in capo al liquidatore per cinque anni dalla data di cancellazione. Quindi, era regolare la notifica dell’atto contro il quale era stato opposto ricorso dal contribuente, quale liquidatore della società.
Avverso detta sentenza, proponeva gravame il liquidatore, richiedendo che il giudice proponesse dubbi di costituzionalità dell’articolo sopra citato, nonostante la Consulta stessa si fosse già espressa in merito: non appariva, però, a suo dire, logica la sopravvivenza societaria a fronte dell’estinzione di ogni possibile organizzazione.
Dal canto suo, l’Agenzia delle entrate sosteneva la correttezza dell’emissione dell’avviso di accertamento nei confronti della persona giuridica, notificato alla persona fisica che la rappresentava: il liquidatore, infatti, ne aveva la rappresentanza per cinque anni.
La sentenza
La Ctr Liguria, pur accogliendo parzialmente l’appello del contribuente quanto a un’eccezione sul trattamento sanzionatorio, che non è conferente ai fini del presente commento, concorda con la prospettazione dell’Agenzia, quanto alla correttezza della notifica dell’atto impositivo al contribuente, quale liquidatore e rappresentante per cinque anni della società cancellata.
Trascorso il quinquennio – osserva il Collegio di seconde cure – interviene il regime successorio, per cui sono responsabili i soci, non più il liquidatore, non certo illimitatamente non dovendo neppure rispondere dei debiti societari con il proprio patrimonio personale, ma nei limiti di quanto conferito. Se la società viene cancellata, quindi, essi rispondono dei debiti nei limiti di quanto hanno ottenuto come liquidazione. In sostanza, la società, per cinque anni, anche se non più esistente, può rispondere di eventuali contestazioni tributarie.
Non è praticabile, conclude sul punto il Consesso ligure, la richiesta di incostituzionalità avanzata dal contribuente.
Infatti, la Consulta, per quanto concerne l’articolo 28, comma 4, Dlgs n. 175/2014, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale (cfr sentenza n. 142/2020). La norma citata, infatti, consente la stabilizzazione degli atti dell’amministrazione, potendo quest’ultima effettuare le attività di controllo e accertamento nonché notificare i relativi atti direttamente all’originario debitore.
Tra l’altro, già in precedenza la Corte costituzionale si era occupata di tale articolo annoverandolo fra quelle disposizioni orientate a preservare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie.
Infatti – ha spiegato la Corte delle leggi – non è configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie, per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime (cfr sentenza n. 291/1997), che si giustificano con la garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (cfr sentenza n. 281/2011), cui è volto il credito tributario.
In definitiva, l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina civilistica ordinaria (cfr articolo 2495 cc, per come riscritto dall’articolo 4 Dlgs n. 6/2003), secondo cui, dopo la cancellazione, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.