Il mandato a vendere non basta, iter chiuso ai bonus “prima casa”

Il negozio, pur se accompagnato dal conferimento del potere rappresentativo, non determina il trasferimento, in capo al mandatario, della proprietà del bene da alienare

Roma – La vicenda processuale di merito, sfociata nella pronuncia in esame, prende spunto da un avviso un avviso di rettifica e liquidazione di maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, emesso dall’ufficio e notificato a un contribuente al fine di revocare le agevolazioni “prima casa”, da egli godute, in relazione all’acquisto, il 20 ottobre 2014, di un immobile a Reggio Emilia.
La revoca era motivata dal fatto che il contribuente aveva già fruito delle medesime agevolazioni in relazione all’acquisto di altro immobile nello stesso comune, il 10 giugno 2009, senza che potesse avere alcun rilievo la circostanza che, per quest’ultimo cespite, egli avesse poi conferito alla moglie, il 2 ottobre 2014, mandato revocabile a vendere con clausola di “trasferimento fiduciario in adempimento del mandato medesimo.

Il ricorso del contribuente veniva accolto dalla Ctp di Reggio Emilia con sentenza, poi, confermata dalla Ctr Emilia Romagna, la quale respingeva l’interposto gravame erariale sul presupposto che il contribuente “in esecuzione del mandato e in applicazione dell’art. 1719 c.c. ha alienato la piena proprietà dell’immobile al coniuge mandatario così soddisfacendo la condizione di impossidenza dei diritti reali” al momento del secondo acquisto.

L’Agenzia delle entrate ha impugnato la decisione di secondo grado, eccependo la violazione o falsa applicazione della nota II-bis, lettera b) dell’articolo 1, della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986, nonché degli articoli 832, 1376, 1470, 1719 cc, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3) cpc, per avere la Ctr erroneamente ritenuto che il citato mandato a vendere fosse produttivo di effetti immediatamente traslativi pieni in favore del mandatario (nel caso in questione, il coniuge del contribuente intimato).

I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 27000 dello scorso 14 settembre, hanno accolto il ricorso dell’ufficio e, decidendo nel merito, hanno rigettato l’originario gravame di parte condannandola, altresì, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.
Nello specifico, sono partiti dalla disamina dell’articolo 1, nota II-bis, della Tariffa allegata al Dpr n. 131/1986, il quale limita la possibilità di fruire della agevolazione “prima casa” alla non titolarità del diritto di proprietà di altra casa di abitazione nel territorio del Comune ove è situato l’immobile da acquistare.
La lettera b) della citata disposizione legislativa prevede, inoltre, che “nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”.

Nel caso in argomento, è stato accertato che il contribuente aveva reso tale dichiarazione in seno all’atto di acquisto del secondo immobile agevolato.
La Ctr Emilia Romagna ha ritenuto corretto il comportamento adottato dal contribuente sul rilievo che egli, con il conferimento (al coniuge) del mandato a vendere la casa di abitazione acquistata in precedenza, avesse perso la titolarità dell’abitazione medesima.

La Cassazione, in primo luogo, analizzando le caratteristiche del mandato a vendere, ha richiamato la risalente e costante giurisprudenza della Corte (cfr sentenze nn. 5981/2001 e 10522/1994), in base alla quale “il mandato a vendere, pur se accompagnato dal conferimento del potere rappresentativo, non determina il trasferimento, in capo al mandatario, della proprietà del bene da alienare, ma ha contenuto meramente obbligatorio, impegnando il mandatario alla successiva stipulazione del contratto traslativo per conto (ed eventualmente anche in nome) del mandante”.
In applicazione, al caso, del principio di diritto appena enunciato e traslandolo alla fattispecie concreta anche avuto riferimento al fatto che l’acquisto de quo sia avvenuto nel 2014 – quindi in epoca anteriore all’introduzione, nella Nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr n. 131/1986, del comma 4-bis, che ha consentito l’acquisto agevolato anche ove la condizione richiesta dalla lettera c) – cioè “che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni c.d. prima casa” – non sia soddisfatta, purché l’acquirente, entro 1 anno dal nuovo acquisto agevolato, alieni la ex prima casa – la Corte ha ritenuto che il mandato a vendere conferito al coniuge (mandatario) dal contribuente acquirente (mandante) non abbia alcuna efficacia traslativa del diritto di proprietà sul cespite oggetto del mandato stesso.
E che, pertanto, il diritto stesso rimane pieno in capo al titolare medesimo il quale, al fine di poter usufruire nuovamente dei benefici agevolativi in argomento, non se ne può spogliare indistintamente tramite il semplice conferimento di mandato, seppur al coniuge in regime di comunione dei beni.

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