Roma – Tra i presupposti indispensabili per accedere al concordato semplificato occorre che le trattative svolte durante la composizione negoziata si siano svolte con correttezza e buona fede. L’interlocuzione con i creditori deve essere stata effettiva e completa. Non devono risultare praticabili altre soluzioni negoziali e deve essere data specifica garanzia della fattibilità del piano sotteso alla proposta. Sono le regole basilari della composizione negoziata della crisi d’impresa, lo strumento introdotto dal legislatore per affrontare situazioni di crisi aziendale.
Con la Composizione negoziata della crisi (Cnc) il legislatore ha in particolare voluto individuare un sistema di aiuto per imprese in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, che, tuttavia, hanno ancora le potenzialità per essere risanate.
A tal fine l’impresa può dunque richiedere alla Camera di commercio la nomina di un professionista esperto nella ristrutturazione, che lo affianchi nelle trattative con i creditori e nella rinegoziazione dei contratti, individuando idonee soluzioni per superare la situazione di difficoltà.
Se l’esperto rileva che le trattative non possono avere esito positivo e che soluzioni negoziali non sono praticabili, l’imprenditore può accedere poi, ancora, al concordato semplificato, una procedura che presenta caratteristiche peculiari, tra cui il fatto che non è riconosciuto il diritto di voto ai creditori e non è richiesto al debitore di garantire una percentuale minima di soddisfacimento ai chirografari.
Per considerare verificata la condizione di accesso al concordato semplificato non è comunque sufficiente il mero accesso alla Cnc, essendo necessario che l’esperto abbia almeno inizialmente ravvisato concrete prospettive di risanamento.
Le trattative inoltre devono essersi svolte secondo correttezza e buona fede.
La verifica sulla sussistenza dei predetti requisiti di accesso è demandata al tribunale.
E proprio a seguito delle prime verifiche da parte dei tribunali, abbiamo alcune indicazioni giurisprudenziali, che possono essere di ausilio nella gestione operativa di queste delicate procedure.
Il tribunale di Firenze, ad esempio, con provvedimento del 31 agosto 2022, ha dichiarato non sussistenti i presupposti per la presentazione della domanda di concordato semplificato, evidenziando, tra le altre, che non è sufficiente che la domanda di omologazione del concordato semplificato sia stata preceduta dalla composizione negoziata e dallo svolgimento di trattative, ma occorre che risulti dalla dichiarazione dell’esperto che queste ultime si sono svolte in modo regolare e con correttezza e buona fede.
Delineando il significato da attribuire al requisito della buona fede, secondo il tribunale di Firenze, bisogna dunque che vi sia stata una effettiva e completa interlocuzione con i creditori interessati dal piano di risanamento, dovendo gli stessi ricevere tutte le informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’imprenditore, nonché sulle misure per il risanamento proposte.
Non devono inoltre risultare praticabili le soluzioni individuate ai sensi dell’articolo 23, commi 1 e 2, lettera b), CCII (contratto, convenzione di moratoria, accordo con gli effetti del piano attestato, accordo di ristrutturazione dei debiti).
Deve essere infine stata fornita ai creditori una comparazione del soddisfacimento loro assicurato dalle predette soluzioni con quello che potrebbero ottenere dalla liquidazione giudiziale.
In assenza di tali condizioni si può concludere che le trattive siano incomplete, con impossibilità quindi di accedere al concordato semplificato (e ai suoi effetti).
Ancora, il tribunale di Bergamo, con Provvedimento del 23 settembre 2022, ha ritenuto inammissibile il ricorso al concordato semplificato, in quanto, in esito al percorso di composizione negoziata, era risultato praticabile il ricorso all’accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale.
Secondo il tribunale “Il concordato semplificato è, infatti, concepito dal legislatore alla stregua di extrema ratio, cui affidarsi in ipotesi in cui non sussista altro bivio operativo possibile e l’intera gamma degli strumenti di regolazione della crisi – tanto contrattuali, quanto concorsuali (differenti dal concordato) annoverati dall’art. 23 come esiti fisiologici della composizione negoziata, siano indicati dall’esperto come impraticabili”.
Infine, il tribunale di Udine, con Provvedimento del 24 gennaio 2023, ha sottolineato come, nell’ambito di tale procedura, debba essere data specifica garanzia della fattibilità del piano sotteso alla proposta (nella specie derivanti da risorse derivanti da un realizzo atomistico degli asset, un apporto di finanza esterna ed un eventuale realizzo da cessione di parte di azienda).
In particolare, per quanto riguardava gli importi da realizzare, il tribunale di Udine ha per esempio considerato idonei:
– la valorizzazione del realizzo dei beni materiali aziendali, effettuata sulla base di apposita perizia di stima redatta da un professionista incaricato;
– l’apporto di finanza esterna, garantito, a seguito di specifica richiesta del tribunale, mediante deposito fiduciario vincolato, condizionato all’omologa e rimesso alla custodia e amministrazione di un notaio.
L’apporto di finanza esterna, nella specie, era del resto necessario per la fattibilità del piano, rappresentando (come spesso accade in questi casi) la quasi totalità dell’attivo in concreto realizzabile.
In definitiva, secondo il tribunale, sussistendo tutte le condizioni di legge, il proposto concordato semplificato andava nella specie omologato, assicurando un trattamento superiore e in tempi più rapidi rispetto a quanto ottenibile nell’alternativa liquidatoria.
Si ricorda infine che, comunque, anche nell’ambito del concordato semplificato, pur in assenza del diritto di voto, è previsto uno strumento di reazione per i creditori, i quali potranno sempre sollevare questioni di ritualità, o esprimere il loro motivato dissenso alla proposta con l’opposizione all’omologa (ex articolo 25-sexies, comma 4, CCII).