Roma – L’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari. È in estrema sintesi il principio di diritto sancito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 40797 del 6 ottobre 2023
La vicenda processuale
La vicenda processuale, spiega il fisco – ha preso origine dal rigetto dell’appello cautelare proposto dal curatore fallimentare avverso il rigetto della richiesta di dissequestro di beni della società dichiarata fallita. In particolare, si trattava di un sequestro disposto da parte del gip nell’ambito del procedimento penale per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’articolo 11 del Dlgs 74/2000 in cui la società era coinvolta.
Il motivo per cui è stato rigettato l’appello attiene all’interpretazione effettuata da parte del Tribunale di Pescara in materia di rapporti tra il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per i reati tributari e il fallimento dell’impresa, su cui da tempo vi sono dei contrasti interpretativi.
Sul punto, il tribunale di Pescara ha ritenuto che il sequestro preventivo ai fini della confisca per reati tributari prevalga sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto di qualsiasi procedura concorsuale, attesa l’obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia è finalizzato il sequestro, anche laddove la dichiarazione di fallimento sia intervenuta prima del sequestro stesso.
La questione riguardava altresì la titolarità dei beni oggetto di sequestro: il curatore fallimentare evidenziava infatti che, a seguito di fallimento, si verifica in capo alla società uno spossessamento di beni con conseguente indisponibilità di procedere a sequestro. La curatela evidenziava inoltre che la disposizione di un sequestro preventivo a seguito della dichiarazione di fallimento comporta la lesione del principio della par conditio creditorum a cui le procedure concorsuali si ispirano.
A seguito del rigetto, il curatore fallimentare ricorreva in cassazione osservando in particolare, tra i motivi, che il Tribunale di Pescara avrebbe errato nell’interpretazione dell’art. 12-bis del Dlgs n. 74/2000. Infatti, nell’affermare che «è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato» il tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che la sentenza dichiarativa del fallimento ha quale effetto diretto quello di spossessare la società dei propri beni, i quali “passano” nella materiale disponibilità del curatore fallimentare.
Il ricorrente riteneva altresì, nella possibilità di procedere a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la violazione della par conditio creditorum a favore della soddisfazione preferenziale dell’erario rispetto a quella di tutti gli altri creditori.
Avendo dato luogo a contrasti interpretativi giurisprudenziali, la questione veniva rimessa, con ordinanza del 29 novembre 2022, alle Sezioni unite della Corte di cassazione con la seguente questione di diritto:
“Se, in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente alla adozione di provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell’apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero se, invece, il sequestro debba comunque prevalere attesa la obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta”.
La confisca
Ai fini di una migliore comprensione dei principi affermati nella sentenza da parte delle Sezioni Unite, è utile sintetizzare l’istituto della confisca in materia penale e, in particolare, della confisca tributaria prevista ai sensi dell’articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74/2000.
La confisca è un istituto che ha una funzione preventiva e cautelare e si sostanzia nell’espropriazione da parte dello Stato delle cose, mobili o immobili, connesse alla commissione di un reato al fine di impedire al soggetto la commissione di reati futuri.
All’interno del nostro ordinamento giuridico si distinguono diverse tipologie di confisca. Ai sensi dell’articolo 240 del codice penale sono previste due tipologie di confisca, quella facoltativa e quella obbligatoria. Il primo comma dell’articolo 240 del codice penale introduce infatti la confisca “facoltativa”: si tratta della confisca che può essere disposta discrezionalmente da parte del giudice relativamente alle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto.
Il secondo comma dell’articolo 240 del codice penale prevede un’ipotesi di confisca obbligatoria che comporta l’assenza di discrezionalità in capo al giudice il quale la applica al verificarsi dei presupposti previsti dallo stesso articolo.
Si distingue da queste la confisca c.d. “allargata” prevista dall’articolo 240-bis del codice penale che consente, nelle ipotesi ivi individuate, la «confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».
È previsto, inoltre, un ultimo tipo di confisca, la “confisca per equivalente”, di carattere sanzionatorio, in cui, nell’ipotesi in cui non è possibile confiscare i beni che rappresentano il prodotto, il profitto o il prezzo del reato, la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
Una tipologia di confisca per equivalente è quella prevista, in materia di reati tributari, dall’articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74/2000, il quale stabilisce che «Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».
I motivi della decisione
Il rapporto tra le procedure concorsuali e la disposizione del sequestro penale ai fini della confisca è un argomento assai controverso su cui la giurisprudenza, nel corso del tempo, ha affermato orientamenti contrapposti tra loro.
La decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione si innesta dunque in un contesto di perdurante contrasto giurisprudenziale che ha visto l’affermarsi, in particolare, di due contrapposti orientamenti: da una parte i sostenitori della tesi per cui il sequestro preventivo prevale sulle procedure concorsuali e, dall’altra parte, la tesi per cui la coesistenza dei due vincoli deve essere risolto in ragione del criterio della priorità temporale.
La prima decisione di rilievo che viene presa in considerazione nell’excursus effettuato nelle motivazioni della sentenza, è la n. 29951/2004, (sentenza Focarelli).
Con questa sentenza, le Sezioni unite avevano affermato il principio per cui è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni provento di attività illecita appartenenti ad una impresa dichiarata fallita a condizione che il giudice evidenzi nella propria decisione i motivi della prevalenza della confisca piuttosto che alla valorizzazione del principio della par conditio creditorum a cui la procedura fallimentare è ispirata.
Nella sentenza, i giudici affermavano altresì che il curatore fallimentare non rappresenta un “terzo estraneo al reato” e che la sentenza di fallimento, la quale ha come effetto quello di assoggettare i beni della società alla procedura fallimentare, non si traduce comunque in una perdita di proprietà dei beni, in quanto la società rimane titolare degli stessi fino alla vendita.
La seconda sentenza delle Sezioni Unite presa in considerazione è la n. 11170/2014, (sentenza Uniland,) la quale, seppur incidentalmente, affermava l’impossibilità per il curatore fallimentare di proporre l’impugnazione avverso il sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della società fallita poiché lo stesso deve essere considerato privo di titolarità di diritti sui beni e soggetto terzo rispetto alle ragioni del procedimento cautelare.
Ulteriore pronuncia delle Sezioni unite considerata è la sentenza n. 45936/2019, relativa al Fallimento Mantova Petroli Srl che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza Uniland, ha riconosciuto nel caso di sequestro preventivo ai fini della confisca per reati tributari – disposto prima del fallimento – la legittimità del curatore fallimentare a chiederne la revoca. Atteso che la dichiarazione di fallimento produce lo spossessamento dei beni in capo al fallito, veniva riconosciuta altresì la legittimità del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti cautelari relativi ai beni sequestrati prima della dichiarazione di fallimento, poiché facenti parte della massa attiva.
In materia di reati tributari, è stata infine citata una recente sentenza della Corte di cassazione, la n. 5255/2022, la quale ha affermato la possibilità di eseguire il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all’articolo 12-bis del Dlgs n. 74/2000 anche ad una società dichiarata fallita, atteso che in questo caso la società, nonostante sia stata spossessata dei beni, ne conserva comunque la titolarità fino alla vendita fallimentare, non assumendo rilevanza ai fini della confisca la concreta disponibilità degli stessi.
In altre parole, gli argomenti a sostegno della tesi per cui prevalgono le ragioni della procedura concorsuale rispetto al sequestro preventivo sono di seguito sintetizzati.
In primo luogo, il fatto che a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento il curatore fallimentare subentra nell’amministrazione e nella gestione dei beni che appartengono alla società, comporta l’impossibilità di effettuare un sequestro preventivo su tali beni, atteso che il curatore viene considerato “persona estranea al reato”.
Il curatore fallimentare sarebbe, inoltre, non legittimato ad impugnare i provvedimenti di sequestro e questo escluderebbe, secondo tale ricostruzione, che nell’ipotesi in cui sia già stato dichiarato il fallimento non sia possibile procedere a sequestro preventivo.
In secondo luogo, i sostenitori di tale tesi affermano altresì che la prevalenza del sequestro preventivo comporterebbe una lesione ingiustificata della par condicio creditorum a favore della pretesa erariale, nonostante anche i creditori privati della società fallita vantino una posizione creditoria insoddisfatta.
Dopo aver esaminato tali ragioni, le Sezioni Unite affermano che le argomentazioni sostenute da questo primo orientamento non sono ulteriori e diversi rispetto a quelle già decise nella sentenza Focarelli e che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, prevista ai sensi dell’articolo 12-bis del Dlgs n. 74/2000 «prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene, sia nel caso di liquidazione giudiziale che per effetto dell’ammissione al concordato preventivo, in ragione della natura obbligatoria della misura ablatoria cui la salvaguardia è finalizzato il sequestro».
In particolare, viene affermato che a seguito della sentenza dichiarativa del fallimento, la titolarità dei beni rimane in capo alla società fallita fino alla vendita fallimentare e non si verifica in capo al curatore fallimentare la condizione prevista dall’art. 12-bis di “persona estranea al reato” che ne impedirebbe la confisca. Il curatore fallimentare diviene infatti solo un gestore, un detentore, di tali beni.
Viene affermato altresì che il riconoscimento della legittimità in capo al curatore fallimentare di impugnare i provvedimenti attinenti alla misura ablatoria non equivale a dire che è avvenuto uno spossessamento dei beni della società, avendo tale legittimazione la sola funzione di consentire l’esercizio processuale delle richieste attinenti alla misura.
Le Sezioni Unite individuano, infine, la risoluzione del contrasto nello stesso dato letterale dell’articolo 12-bis del Dlgs n. 74/2000: è lo stesso articolo a prevedere, infatti, che «Nel caso di condanna […], è sempre ordinata la confisca», risolvendo così l’obiezione di chi sostiene le ragioni della prima tesi, e cioè che la prevalenza del sequestro preventivo sulle procedure concorsuali leda il principio della par conditio creditorum. Proprio la provenienza delittuosa di tali beni giustificherebbe infatti l’applicazione della confisca e il contestuale sacrificio dei creditori “privati” della società fallita.
In buona sostanza, la previsione per cui “è sempre ordinata la confisca” a seguito della commissione di un reato tributario, deriva dalla necessità di evitare la circolazione dei beni provenienti da evasione e di sottrarli alla liquidazione giudiziale.
Dopo aver ripercorso i vari orientamenti che sono stati affermati nel corso del tempo, è stato possibile per le Sezioni Unite concludere affermando che l’«obbligatorietà della confisca del profitto dei reati tributari comporta la prevalenza del vincolo penalistico rispetto ai diritti incidenti, per effetto della pendenza di una procedura concorsuale, sul patrimonio del soggetto sottoposto alla cautela reale, proprio perché i beni restano nella titolarità del fallito e non “passano” al curatore», impedendo dunque l’applicazione della deroga della “persona estranea al reato” di cui all’articolo 12-bis del Dlgs n. 74/2000.
Alla luce di tutte le argomentazioni esposte, la Suprema corte ha affermato il seguente principio di diritto: “l’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari”.