Inesistenza soggettiva, prova estraneità spetta al contribuente

Roma – Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria abbia provato l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti dal punto di vista soggettivo, spetta alla parte privata fornire la prova contraria della propria estraneità alla condotta evasiva. Questo principio è stato sancito dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 2800 del 5 febbraio 2025.

Il caso esaminato dai giudici ha avuto origine da un atto di accertamento integrativo, emesso ai fini Iva, mediante il quale è stato contestato l’utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. Il ricorso presentato dalla società destinataria dell’accertamento è stato respinto, sia in primo che in secondo grado (decisione n. 915/2022 della Ctr della Lombardia). I giudici tributari hanno ritenuto che fosse provata la circostanza secondo la quale la società fosse assolutamente in condizione di individuare, usando l’ordinaria diligenza, la sostanziale inesistenza dei contraenti che hanno emesso le fatture nei suoi confronti.

In particolare, considerato che la merce acquistata attraverso l’operazione contestata era stata trasportata a cura della stessa società destinataria dell’atto di accertamento, era evidente che quest’ultima avrebbe facilmente potuto rilevare che il fornitore che gli ha consegnato la merce stessa non coincideva con il soggetto che ha emesso le relative fatture. Dalle visure camerali era anche emerso che la società che ha fatturato l’operazione risultava operante nel settore del commercio all’ingrosso di legnami, settore estraneo rispetto a quello nel quale si è svolta l’operazione poi fatturata (commercio di plastica).

Con la pronuncia in esame la Corte di cassazione ha, innanzitutto, ricordato che l’effettuazione di operazioni inesistenti, come nel caso in esame, presuppone due elementi e cioè:

  • l’effettivo acquisto di beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa destinataria della fattura o della prestazione dei servizi indicati nella fattura stessa;

  • la simulazione soggettiva, ovvero la provenienza della merce o della prestazione del servizio da un soggetto economico diverso da quello che risulta dal documento fiscale emesso.

È stato richiamato il consolidato orientamento sia della stessa Corte (Cassazione n. 9851/2018, n. 5339/2020, n. 15369/2020, n. 25891/2023), che dei giudici europei (Corte di Giustizia europea C-277/2014, C-281/2020), in base al quale  “…ricade sull’amministrazione finanziaria l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura è stata posta in essere da soggetto diverso dall’emittente della fattura (senza necessità di individuazione del diverso soggetto), indicando gli elementi presuntivi o anche solo indiziari sui quali fonda la contestazione; elementi che devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia stata posta in essere dal soggetto che risulta documentalmente.”

Si è affermato, in merito, che è un valido elemento indiziario la circostanza che il cedente o il prestatore del servizio che ha emesso fattura sia privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze).

L’Amministrazione deve provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in un disegno di evasione d’imposta, ma, secondo quanto affermato in motivazione, ciò non significa dover fornire la prova della piena consapevolezza del contribuente alla frode, “…ma solo che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale.

Anche i giudici di legittimità hanno dato rilievo al fatto che la società ricorrente avesse effettuato le visure camerali dalle quale era evidente l’estraneità della società fornitrice al settore commerciale nell’ambito del quale si è svolta l’operazione poi documentata in fattura. Richiamando la pronuncia n. 27814/2020 si è, quindi, confermato il seguente principio di diritto “In caso di operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione”.

Tenuto conto degli elementi di prova emersi in giudizio, è stato respinto il ricorso della società coinvolta nell’operazione.

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